«Gente come te non ha il diritto di vivere»: l’operazione T4, e cioè lo sterminio delle persone con disabilità messo a punto e praticato dal nazismo, fa capolino anche nello splendido Mai più. Per non dimenticare (Giunti 2020, traduzione di Angela Ragusa), primo libro a fumetti di R.J. Palacio, autrice della saga di Wonder.
Sara, la protagonista, vive felice con i genitori in un villaggio nel cuore della Francia finché non arriva il nazismo a sconvolgerne per sempre l’esistenza. Prima sono piccole esclusioni, poi la marea cresce, quindi le SS irrompono a scuola per prelevare tutti gli studenti ebrei come lei. La ragazzina riesce però a dileguarsi: a salvarla, nascondendola per oltre un anno nel fienile di casa, sarà il compagno di classe bullizzato e scansato da tutti. Soprannominato Tourteau, granchio, a causa della sua andatura claudicante dovuta alla poliomielite, nessuno ne conosce in realtà il nome di battesimo, tanta è l’indifferenza e l’esclusione che caratterizza le sue giornate a scuola. Nemmeno Sara sa come si chiama davvero quel compagno di classe che le siede accanto da anni, a cui non ha mai dedicato nemmeno uno sguardo.
L’operazione T4 è appena accennata nel libro, e viene evocata quando Vincent – il bullo della classe, dapprima solo simpatizzante delle SS e poi arruolato nella milizia – aggredisce Julien nel fienile, dicendogli la frase che rivela la sua conoscenza del programma («Lo sai che fanno, i nazisti, agli esseri inferiori? Li sterminano»). E poi Julien ne sarà effettivamente vittima, a causa della sua “imperfezione” fisica.
Anche se in Francia non vi fu strettamente una politica equivalente al programma T4, si stima che, durante la Seconda guerra mondiale, 45mila pazienti di vari manicomi e ospedali siano stati lasciati morire di fame o di incuria. Nel Paese è ancora oggetto di dibattito tra storici e accademici se ciò abbia fatto parte di un programma eugenetico del governo di Vichy o sia accaduto spontaneamente per mano di medici immorali.
È un passato fatto di omicidi e violenze quello che Sara ormai nonna racconta a suo nipote (il cui nome sarà, come già quello di suo padre, Julien, il nome vero di Tourteau che la ragazzina aveva scoperto solo vivendo nel fienile). Ma è anche un passato che insegna – ieri come oggi – quanto la gentilezza e il coraggio possano cambiare il mondo.
E insegna anche che, se lo si vuole, a volte si può rimediare agli errori commessi. «La verità – dice Julian alla sua nuova amica nel fienile – è che non importa com’eri prima. Importa solo come sei ora». Un messaggio, scrive Ruth Franklin nella postfazione, in cui «tutti possono riconoscersi: chi di noi non è, prima o poi, stato semplice spettatore della sofferenza di qualcun altro? Per noi la posta in gioco non è alta come per Sara e Julien, però non sappiamo quando le cose potrebbero cambiare. Se non possiamo cancellare il dolore che abbiamo causato, possiamo però agire diversamente in futuro». Perché, come gli spiega sua nonna, «non sono i nostri errori a definirci ma quel che facciamo dopo aver imparato da essi».
In chiusura del libro, la nonna Sara prende in mano un quotidiano: «800 bambini separati dai genitori in seguito alla politica di tolleranza 0 di Trump»; «Incremento globale di antisemitismo e islamofobia»; «Negato asilo ai rifugiati». Parrebbe che tutto sia rimasto com’era, che la caccia al diverso sia rimasto lo sport più diffuso. Che agli ebrei, le persone con disabilità, gli omosessuali e i rom di ieri sono seguiti i migranti sui barconi, i bambini separati dai genitori al confine e i poveri di oggi. Eppure, per le strade di questi anni Duemila, c’è un ragazzo che marcia portando un cartello su cui c’è scritto «Mai più. #PerNonDimenticare». Non tutto è passato invano.
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