In un articolo a firma della corrispondente dagli Stati Uniti Elena Molinari qualche settimana fa, Avvenire riportava la notizia che negli Stati Uniti ci si stava preparando ad affrontare l’emergenza covid-19 con delle linee guida inquietanti. Stati come Maryland o Pennsylvania invitano ad escludere le persone con alcune disabilità dall’uso dei respiratori in caso di pericolo di vita. I medici sono chiamati di fatto a una scelta eugenetica. Eppure, il giuramento di Ippocrate è chiaro e non fa differenze tra paziente e paziente, chi diventa dottore giura di aiutare tutti. Da millenni. Ma, di fatto, si spinge per la scelta economicamente più vantaggiosa per la collettività: si sceglie di salvare le persone che abbiano un potenziale produttivo, lasciando morire le altre di cui bisogna prendersi cura, con un costo per la società.
Possibile che il Paese con uno degli eserciti più potenti e armati al mondo debba invitare i medici a operare questa scelta disumana? Possibile che non ci siano i soldi per acquistare le macchine necessarie a potenziare la terapia intensiva, mentre per gli armamenti o per costruire il muro con il Messico ci siano sempre le risorse necessarie?
Le decisioni prese negli Stati Uniti riportano alla mente le statistiche elaborate lo scorso anno dal canale statunitense CBS, sul drastico abbassamento di nascita di persone con sindrome di Down in alcuni paesi del Vecchio continente come Danimarca, Francia o Islanda dove la pratica dell’aborto in caso di diagnosi in gravidanza è talmente diffusa da toccare picchi che rasentano il 100%. Una statistica che mostra aridamente l’effetto di un pregiudizio alimentato, forse, dalla solitudine a causa della quale troppo spesso le coppie si trovano a dover prendere decisioni così importanti.
Queste notizie pongono degli interrogativi importanti a chi, come me, ha spesso la responsabilità di parlare di inclusione e parità di diritti ai ragazzi delle scuole. Vale la pena continuare a lottare per l’inclusione e la parità, se nello Stato più ricco del mondo c’è chi invita a non curare i disabili, sottintendendo, implicitamente, che se ne possa fare a meno? Certo. È proprio davanti a queste notizie che bisogna continuare, con forza crescente. Queste notizie fanno arrivare ai ragazzi il messaggio terribile che in fondo esistano vite di serie A che hanno diritto ad andare avanti sempre e comunque e vite di serie B, sacrificabili in caso di necessità, sull’altare della produzione, dell’economia e di chi ha la fortuna di essere sano.
La società spesso spinge in tanti modi le persone a seguire questi modelli effimeri, quando criminalizza un gommone di profughi in cerca di salvezza dalla guerra, dalla fame, dalla schiavitù, quando si dice che “gli stranieri sono tutti criminali”, insomma quando si fa vincere il facile pregiudizio e ci si accoda al gruppo che segue ciecamente il suo leader, invece di ragionare in modo autonomo.
Sembra ovvio, scontato, lapalissiano, eppure occorre ribadirlo ancora una volta: ragazzi studiate, leggete, scoprite, fatevi guidare dalla curiosità, non dai pregiudizi. La storia ha insegnato in maniera inequivocabile il pericolo di seguire le teorie che dividono la società in “noi” e “loro”, giusti o sbagliati, buoni o cattivi in base all’appartenenza ad alcuni gruppi sociali che determina chi vive e chi, invece, può morire.
Avere una disabilità o un problema di salute non si sceglie, ma accade e bisogna farci i conti. Spesso la persona e la sua famiglia è lasciata sola in balia di una società che offre poco e in maniera distratta, e la solitudine o il senso di colpa – ma sarebbe più corretto dire il senso di “incolpamento” – piomba come una cappa asfissiante. Per questo rivolgo un appello ancora una volta ai ragazzi, proprio quella generazione che spesso incolpiamo di essere troppo individualista e incollata agli smartphone, ma che ha dato una lezione a tutti con la mobilitazione mondiale per il clima: continuate a lottare per i diritti umani dall’ambiente all’accesso alle cure per tutti. Senza distinzione.
In foto: un gruppo di manifestanti davanti gli uffici del senatore americano Thad Cochran nel 2017.
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