Davide ti ha insegnato il silenzio. È difficile farti parlare. Lo farò per te: per la stima e l’affetto che ti porto ma, soprattutto, per dire a te, a Franco e ai genitori come voi, che ci sentiamo un debito nei vostri confronti. Chissà quante volte, leggendo Ombre e Luci dove si parla di attività, di progressi, di autonomia conquistata, ti sei chiesta: “Ma io, ma Davide?
Ricordi quel giorno al campeggio di Rocca di Papa? Piangendo dicevi: “Vedi, con tutti questi ragazzi gli amici si danno da fare: giocano, aiutano, cantano… Con Davide, non possono fare niente. Non vede, non parla, non si muove. Li capisco, non li critico, ma mi fa un gran male. Che senso ha la vita di Davide?” Non sapevamo cosa rispondere. Potevamo solo manifestarti in qualche modo che eravate importanti per noi come se non più degli altri. Che proprio per la vostra maggiore difficoltà, vi volevamo più bene.
Ti abbiamo allora dispensata dall’occuparti di lui, almeno per quei giorni. Abbiamo imparato a sederci in silenzio accanto a lui, a suonare la chitarra, a cantare. E Davide rideva. Abbiamo imparato a cambiarlo, a farlo mangiare, anche se lui si mostrava reticente ai nostri gesti. Abbiamo organizzato una festa per l’elezione di “miss campeggio”. Fra tutte sei stata eletta tu e sei stata invitata a ballare, da sola, sul bordo della piscina, al chiaro di luna. Mi par quasi ancora di vederti, a piedi nudi, con una gonna celeste, bella e sorridente; e noi attorno a battere le mani e a cantare per dirti la nostra gioia di vederti sorridere; non ballavi, mi hai detto, da quando avevi 20 anni; la tua vita di giovane sposa si era fermata: avevi 23 anni quando Davide è nato.
Mi dicevi l’altra sera al telefono: “Non ho mai avuto invidia delle mamme che avevano bimbi sani e belli e che parlavano delle loro piccole pene, ma avrei voluto che mi chiedessero di Davide, dei suoi progressi, delle sue difficoltà. Io morivo dalla voglia di parlare di lui. Per loro, per quasi tutti, era come se non esistesse… Questo mi faceva e mi fa rabbia ancora oggi… A volte mi chiedo: ‘Ma io, sono morta ?’ Per certi aspetti questo può essere vero: ho imparato, per far fronte alle sue esigenze, ad apprezzare solo le cose importanti della vita. I miei desideri? Mi sono abituata a non averne. Considero e apprezzo le persone nella misura in cui dimostrano attenzione per lui e per noi così come siamo. E poi basta. Avrei tante cose da dire che mi sento dentro. Ma tu lo sai, io non so parlare.”
Ecco perché ci sentiamo in debito verso di te. Di fronte al tuo Davide e ai ragazzi come lui, ci sentiamo a disagio, temiamo di farci avanti, non sappiamo cosa dire, preferiamo per rispetto tacere. Così facendo vi lasciamo soli, soli con il vostro dolore.
Non ci resta che chinare il capo e imparare dalla vostra eroica dedizione a compiere anche noi qualche gesto nei vostri confronti per estinguere il nostro debito.
– Mariangela Bertolini, 1999
Nata a Treviso nel 1933, insegnante e mamma di tre figli tra cui Maria Francesca, Chicca, con una grave disabilità.
È stata fra le promotrici di Fede e Luce in Italia. Ha fondato e diretto Ombre e Luci dal 1983 fino al 2014.
Tutti gli articoli di Mariangela
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.69, 2000
Sommario
Editoriale
Rosamaria di M. Bertolini
Speciale: La sua vita nelle loro mani
Gli siamo grati per questo di T. Cabras
La sete e l’acqua della speranza di don Marco Bove
“Coraggio Immacolata!” di Pennablù
Articoli
Mettersi in gioco di Silvia Tamberi
A proposito di sentimenti: la recensione a cura di T. Cabras e N. Livi
Villaggio senza barriere di M. Lenzi
Conferenza nazionale sull’handicap di C. C. Barbieri
La sofferenza di J. Vanier
Rubriche
Dialogo aperto
Vita Fede e Luce
Libri
Il libro di Johann “Io vi ho amati tutti”, Johann Heuchei
Clara va al mare - Recensione, Guido Quarzo