Ci sono poi tutte le sofferenze che vedo intorno a me. Certo la sofferenza esiste da sempre, ma io ne prendo più coscienza oggi: gli incidenti, la morte di persone care, i suicidi, le relazioni che si spezzano, i divorzi, la disoccupazione, il disprezzo e il rifiuto degli immigrati, il rifiuto di accogliere persone fragili che faticano a cavarsela da sole nella società.
Poi tutte le sofferenze di guerre, campi di profughi, di catastrofi naturali. Come situarsi, come reagire di fronte a questa enorme sofferenza umana? Fuggendo? Pretendendo che essa non esista? Deprimersi? Sentirsi colpevoli dei mali degli altri? Gettarsi con frenesia nell’azione credendosi nell’obbligo di rispondere a tutte le sofferenze umane e cercando di essere il salvatore fino a crollare?
Ognuno di noi deve porsi di fronte alle sofferenze umane: quelle che vediamo nel mondo e quelle riposte nel nostro cuore. E questo è molto difficile, perché viviamo in un’epoca in cui si cerca di fare come se la sofferenza non esistesse; si cerca il comfort, il piacere e la riuscita a tutti i costi; si evita ciò che è difficile, soprattutto nel campo delle relazioni. D’altra parte, malgrado la tecnologia avanzata e tutte le medicine di cui disponiamo, la sofferenza resta.
Se l’Arca e Fede e Luce portano una piccola risposta ad alcune persone che soffrono, sappiamo però che non possiamo rispondere a tutte le loro sofferenze, e tanto meno a tutta la sofferenza esistente. I genitori sono segnati e feriti da quello che hanno vissuto. Le persone con handicap non saranno mai guarite.
Certo, grazie alle nostre comunità, alcune persone arrivano ad accettarsi di più, ad avere amici, a trovare un senso alla vita e anche una reale gioia di vivere. Ma molti restano nella sofferenza.
Ci si sente attratti dalle persone che hanno raggiunto la maturità del cuore, che comunicano con una certa facilità. Dobbiamo però confessare che facciamo tutti fatica di fronte a persone che restano angosciate e che gridano la loro sofferenza. Tutto questo non fa parte della nostra vocazione? Quando si può alleviare il dolore di qualcuno, si sente di aver fatto qualcosa. Ma quando si capisce di non poter far nulla, tutto diventa difficile.
Ci sono delle sofferenze fisiche insopportabili che, con il progresso della medicina, si possono a volte calmare. Le sofferenze psichiche sono più complesse da curare: l’angoscia, il sentirsi colpevole di esistere, la paura degli altri, la confusione, l’insicurezza, la perdita di fiducia in sé, il gusto della morte…
Esistono calmanti, che però spesso lasciano le persone in uno stato di torpore. Se le medicine sono necessarie, una risposta importante alla sofferenza è la presenza si qualcuno che riveli alla persona che soffre che essa non è cattiva, che non è sola, che qualcuno è suo amico e che, semplicemente, è lì con lei.
L’amicizia aiuta a comunicare la vita, a far uscire la persona dalla depressione e dalle tenebre, a ridarle il gusto di vivere. Ma l’amicizia ha bisogno di essere messa alla prova. Ci vuole tempo per creare fiducia e per poter credere alla fedeltà di un’amicizia.
Di fronte a qualcuno che ha un forte mal di denti, non basta dirgli semplicemente che si è con lui e che lo si ama; è necessario portarlo da un buon dentista. Così, di fronte ad una persona che ha fame, bisogna darle il nutrimento di cui ha bisogno o i mezzi perché se lo procuri con dignità. C’è una forma di compassione che è quella di lottare con tutte le proprie forze, tutta la propria intelligenza e tutta la propria competenza contro la sofferenza umana. Eppure, di fronte a certe sofferenze, non c’è niente da fare. Quando una madre ha appena perso il figlio, ciò di cui ha bisogno è un amico che le stia accanto. È la compassione nel senso forte del termine “essere con”. Non è questo il cuore dell’Arca e di Fede e Luce?
Come restare in piedi vicino alla persona che soffre? Per certi aspetti, l’Arca e Fede e Luce sono quasi delle cure palliative.
Mia sorella Teresa è stata per un certo tempo medico in un grande centro di cure palliative nella casa di cura S. Cristoforo a Londra. Ella mi ha introdotto in questo campo e mi ha insegnato molto. Il malato, in fase terminale, ha bisogno di competenza medica, del massimo comfort; ha bisogno di non essere disturbato da macchinari e tubi; ha bisogno di una persona che possa rispondere alle sue domande, di un amico che gli voglia bene e l’aiuti a vivere fino alla fine. Noi siamo chiamati a vivere questi due aspetti; la competenza e l’amicizia.
È difficile vivere l’alleanza con una persona angosciata, soprattutto se rifiuta il suo stato di debolezza, se è in collera con la vita, con gli altri, con Dio. Per vivere un’amicizia fedele con lei, noi abbiamo bisogno di una forza nuova. Ci vuole una maturità di cuore e di spirito che richiede l’aver accettato le proprie sofferenze interiori, le proprie angosce e fallimenti. Questo richiede tempo. Ci occorre l’aiuto di una buona guida e di professionisti competenti per portar avanti tutto un lavoro su noi stessi. Abbiamo bisogno di una buona formazione umana e spirituale. È necessario che le condizioni di vita nella comunità siano vivibili a lungo termine, senza eccessivo stress o fatica esagerata. Abbiamo bisogno di questa forza che ci è data dallo Spirito Santo. Quando ci sentiamo amati e scelti da Dio, malgrado tutte le nostre debolezze, le difficoltà di relazione, le ferite interiori e anche i nostri peccati, possiamo essere vicini alle persone che vivono nell’angoscia e nella confusione. Non sto ignorando l’importanza delle celebrazioni dell’Arca e di Fede e Luce, o la gioia della comunione tra noi; non voglio essere vittimista. L’esperienza di 34 anni all’Arca mi dimostra che per continuare ad operare per l’unità, bisogna saper restare in piedi di fronte alla sofferenza e portarla con amore.
Bisogna scoprire la compassione: Gesù pone la compassione al vertice della vita nuova che Egli è venuto a portare: “Siate compassionevoli come lo è il Padre vostro, non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati, perdonate e sarete perdonati” (Le. 6,36).
Compassione è camminare con coloro che soffrono, cercare di capirli, alleviarli, ma soprattutto amarli e restare con loro come Maria è stata con Gesù, in piedi, vicino alla croce (Gv.19). Ella non è fuggita, come gli apostoli. C’era in lei una forza d’amore tale che le ha permesso di restare quando tutti gli altri se ne sono andati.
Io mi sento ancora lontano da questa forma di compassione. Ho ancora tali paure e angosce per cui mi è talvolta difficile restare con calma vicino a chi soffre, senza agitarmi.
L’alleanza che noi annunciamo all’Arca e a Fede e Luce è dolce e al tempo stesso dolorosa: essa rappresenta tutto un cammino per entrare in comunione con Dio. Essa implica che i nostri cuori si formino, si strutturino e si fortifichino per “restare” vicino a coloro che soffrono. Dio vuole darci questi cuori di compassione, doni dello Spirito Santo, perché noi possiamo essere vicino a coloro che soffrono, nell’amore e nella speranza della resurrezione.
Solo se abbiamo dei cuori di compassione potremo essere strumenti di pace, operare per l’unità nelle nostre comunità e tra le nostre comunità, ma anche tra l’Arca e Fede e Luce, tra le nostre diverse Chiese e tra tutti gli uomini e le donne della terra, qualunque sia la loro religione. Così spesso l’unità è spezzata perché abbiamo paura della sofferenza provocata dalla differenza. La compassione, come il perdono, è sorgente di unità. Essa implica una vera saggezza.
Questa mi porta a parlare della formazione.
Continua nel prossimo numero
– Jean Vanier, 2000
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.69, 2000
Sommario
Editoriale
Rosamaria di M. Bertolini
Speciale: La sua vita nelle loro mani
Gli siamo grati per questo di T. Cabras
La sete e l’acqua della speranza di don Marco Bove
“Coraggio Immacolata!” di Pennablù
Articoli
Mettersi in gioco di Silvia Tamberi
A proposito di sentimenti: la recensione a cura di T. Cabras e N. Livi
Villaggio senza barriere di M. Lenzi
Conferenza nazionale sull’handicap di C. C. Barbieri
La sofferenza di J. Vanier
Rubriche
Dialogo aperto
Vita Fede e Luce
Libri
Il libro di Johann “Io vi ho amati tutti”, Johann Heuchei
Clara va al mare - Recensione, Guido Quarzo