alla fine della mia formazione religiosa da gesuita, ho avuto la fortuna di vivere per quasi un anno nell’ambiente dell’Arca. A Trosly, ho potuto ascoltarti in occasione d’incontri riservati ai gesuiti o quando prendevi la parola durante le eucaristie; ti ho ascoltato anche altre volte qui, in Italia. Alcune delle tue parole mi hanno segnato; penso, e spero, che sarà per tutta la vita. Non so se per te è stata facile la decisione di cambiare assai radicalmente vita, quando hai lasciato l’università per creare l’Arca con il p. Thomas. Noi attendiamo comunque dai profeti che compiano gesti non facili, ma rilevanti e rivelatori dell’eccellenza di Dio. La tua è stata certamente una decisione per un’avventura di carità ma anche per un’avventura interiore, spirituale ed ecclesiale.
Dicevi spesso, durante gli anni della mia permanenza all’Arca, che le persone povere o malandate, soprattutto a livello mentale, ci rivelano debolezze che vorremmo nascondere e che le società contemporanee ci impongono di occultare. La vita delle persone povere rende testimonianza, infatti, a una vitalità abitualmente negata dai nostri ambienti perché inquietante e il più spesso cancellata dallo spazio pubblico, rigettata. Ci insegna allo stesso tempo che una riconciliazione con noi stessi è possibile. Loro ci ricevono come noi siamo, anzi accolgono di noi ciò che non vogliamo sapere e riconoscere di noi stessi. Non sono certamente ‘ideali’ incarnati sotto ogni punto di vista — anche loro, inchiodati sulla loro situazione, che vivono spesso male —, ma propongono delle avventure interiori che portano nelle più profonde dimensioni del nostro essere umano.
Sono stato toccato da questi insegnamenti forse perché una delle mie sorelle aveva dei problemi seri di salute, e le nostre relazioni non erano indifferenti. Il mio primo ministero sacerdotale, poi, l’ho esercitato in occasione di un pellegrinaggio di “Fede e Luce” a Lourdes. In ogni modo, la “lezione” ricevuta a Trosly e Ambleteuse mi ha accompagnato e dato soffio durante gli anni successivi. Sono stato inviato a Roma, per insegnare filosofia un tragitto contrario al tuo, in qualche modo, anzi la parte più astratta della filosofia, quella che riflette sui principi di unità, di relazione ecc., questi principi vissuti nella mia carne e spesso con sofferenza durante l’anno all’Arca.
Vorrei raccontarti una confidenza di uno dei miei studenti. Alcuni anni dopo aver seguito il mio corso, venuto da me, mi raccontò che durante le mie lezioni sentiva nascere in lui sentimenti di empatia con ciò che dicevo, e non poteva spiegarsi come fosse possibile che un corso di filosofia, anzi il più disincarnato di tutti, favorisse, sembrerebbe, il sorgere di tali sentimenti umani. Ha sentito poi per caso che avevo dei legami con “Fede e Luce”: all’epoca, infatti, ero abbastanza impegnato nel movimento. Ha capito allora perché si sentiva stranamente colpito dai miei discorsi complicati: aveva una sorella gemella, con pesanti difficoltà di salute mentale. Devo dire che questa testimonianza mi ha rallegrato intensamente, e vorrei che il mio insegnamento possa indurre sempre simili atteggiamenti, umani e autentici, di accoglienza dei propri limiti, anzi di gioia perché siamo accolti così come siamo, riconosciuti da altri e particolarmente da persone che pochi si preoccupano di riconoscere.
Non sarebbe questa “autenticità” un segno propriamente evangelico? Ringrazio il Signore per la sua benevolenza, e chiedo il favore di essere sempre mantenuto in questa verità rivelata dai più poveri e feriti del nostro mondo. Ringrazio il Signore per i mesi vissuti difficilmente a Trosly e Ambleteuse, e per le tue parole sentite lì e qui.
Paul Gilbert, 2010
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.112