Una mattina di aprile sono stata una cliente un po’ diversa al McDonald di Piazza di Spagna. Avevo appuntamento con Giovanni Lodico, da tre anni coordinatore del personale e incaricato della formazione alla «Food Italia» che raggruppa i cinque McDonald di Roma. Sono 300 gli operatori dell’azienda fra i quali 12 sono persone con handicap. (Cinque affette da sindrome Down, una è sordomuta, una affetta da X fragile e cinque altre hanno un ritardo mentale di diverso tipo) Giovanni è responsabile della formazione e dell’accompagnamento sul lavoro di questi ultimi che sono stati presentati all’Azienda dall’Associazione Persone Down e dall’Ufficio di collocamento.
L’inserimento al lavoro delle persone con handicap non è l’unica politica sociale attuata dalla McDonald, la quale negli Stati Uniti mette una cifra in bilancio per l’aiuto di case-famiglia per l’infanzia in pericolo. Qui a Roma l’inserimento lavorativo è iniziato un po’ per caso tre anni fa, ma è chiaro che per proseguirlo è stata necessaria una chiara volontà dell’Azienda che insieme ad alcune caratteristiche dell’organizzazione del lavoro e al ruolo del coordinatore hanno reso esemplare questo inserimento.
- La giovane età di tutto il personale (20-30 anni);
- la composizione internazionale ed inter-etnica del complesso degli operatori
- il tipo di lavoro diviso in mansioni numerose e ben definite;
- le regole aziendali precise e rigorose (non si mangia durante il lavoro, la puntualità deve essere assoluta…);
- l’uso di gratificazioni extra stipendio (spille, orologio, ecc.) per premiare la qualità del lavoro
sono tutte caratteristiche che facilitano il lavoro dei ragazzi disabili.
Il metodo di addestramento è adatto alla loro disabilità: poche parole, tutto s’impara per imitazione. Giovanni esegue i gesti di ogni mansione davanti a ogni nuovo operatore.
Ruolo e personalità del coordinatore: questo terzo elemento mi sembra molto importante. Giovanni è incaricato dell’addestramento di tutti i nuovi operatori per un periodo che va da uno a tre mesi. Bisogna ricordare che il tempo di prova, prima della firma del contratto, è soltanto di quindici giorni per i giovani mandati dall’Ufficio di collocamento e di un mese per quelli assunti per via privata.
L’addestramento è tecnico per quanto riguarda i diversi lavori da eseguire e relazionale per tutto ciò che riguarda i rapporti con le persone. In ogni ambito lavorativo (cucina, cassa, sala, ecc.) il lavoro è diviso in mansioni: in sala, per esempio, le mansioni da eseguire sono tre, in cucina sono sette (tostare il pane, condire il panino, cuocere la carne ecc.). Secondo il regolamento della McDonald, ogni operatore deve saper svolgere tutte le mansioni. Giovanni sottolinea che per sua esperienza, le persone disabili riescono ad effettuare tutte le mansioni richieste: «Ci vorrà più tempo che per gli altri ma ci arrivano e non sono poi più lenti nell’esecuzione del lavoro».
Anche il metodo utilizzato per l’addestramento è adatto alla loro disabilità: poche parole, tutto si impara per imitazione. Giovanni lavora con ogni nuovo operatore, esegue i gesti di ogni mansione davanti a lui. Quando si tratta di una persona con problemi, lavora per un mese intero accanto a lei. «Non ho un metodo speciale. Ho provato a ricordarmi le difficoltà di quando io stesso ho iniziato a lavorare al livello più basso: ognuno infatti è un po’ perso quando affronta una nuova attività. E poi bisogna frantumare l’azione in tanti piccoli passi ed assicurarsi che ogni passo sia assimilato per se stesso e che non verrà dimenticato. Certo ci vuole una certa sensibilità, bisogna sentire l’altro e poi avere pazienza, tanta pazienza.
Per quanto riguarda l’aspetto relazionale, secondo Giovanni non ci sono veri problemi, né con i colleghi né con i clienti.
Una chiara volontà della McDonald insieme con alcune caratteristiche dell’organizzazione del lavoro e con il ruolo del coordinatore hanno reso esemplare questo inserimento
È giusto notare che, come in altre situazioni, ci sono necessariamente dei limiti nell’assunzione di persone disabili: queste devono essere autonome nello svolgimento del lavoro e non devono avere grossi problemi psicologici (instabilità, aggressività, incapacità alla concentrazione ecc.). L’autonomia nel tragitto casa-lavoro non è essenziale. «Di fatto, spiega Giovanni, molti all’inizio venivano accompagnati, ma in seguito hanno imparato a venire al lavoro da soli».
Solo due facilitazioni sono state concesse alle persone disabili: una riguarda l’orario. Tutti gli operatori della McDonald lavorano 24 ore settimanali ripartite in cinque giorni; le persone disabili lavorano soltanto per venti ore e sempre con lo stesso turno per evitare possibili disorientamenti.
La seconda facilitazione, a mio avviso fondamentale, riguarda il passaggio del tutore: Giovanni, una volta alla settimana va sul posto di lavoro di ogni persona disabile e non per un colloquio ma per lavorare accanto a lei per un po’ di tempo. Inoltre tutti i ragazzi hanno il suo numero di telefono e lo chiamano spesso per chiacchierare un po’ con lui. Questi particolari fanno capire l’importanza del tutore e quanto sia necessaria la sua disponibilità.
Prima di congedarmi Giovanni ritorna a parlare dell’importanza delle gratificazioni: anche l’apprezzamento del lavoro svolto espresso in parole non deve essere dimenticato, specialmente all’inizio, ma oltre allo stipendio, i riconoscimenti concreti, in forma di piccoli doni, sono particolarmente apprezzati dai nostri ragazzi. Teresa, uscita dalla cucina per salutarmi, mi mostra orgogliosa e felice l’orologio ricevuto dopo un mese di lavoro: è davvero soddisfatta di ciò che fa.
Non c’è dubbio: questo lavoro, svolto alla pari con gli altri, cambia la vita dei ragazzi disabili e tuttavia non la deve assorbire completamente. Infatti — nota Giovanni — più hanno altre attività (sport, palestra, gruppi vari) meglio svolgono le loro mansioni. E più sono abituati a partecipare ad attività di gruppi, più facile e piena è la loro vita con i colleghi. «Spesso, dice Giovanni, è proprio il ragazzo Down a proporre un’uscita insieme, a organizzare una pizza… e i colleghi lo seguono volentieri.
– Nicole Schulthes, 1997
Nicole Marie Therese Tirard Schultes
Ha studiato Ergoterapia in Francia e negli Stati Uniti, co-fondando nel 1961 l'Association Nationale Francaise des Ergotherapeutes, (ANFE).
Trasferitasi a Roma, incontra Mariangela Bertolini e insieme avviano nel 1971, su invito di Marie-Hélène Mathieu, le attività di Fede e Luce e partecipano all'organizzazione del pellegrinaggio dell'Anno Santo del 1975. Dal 1983 al 2004 cura con Mariangela la rivista Ombre e Luci. Per anni ha organizzato il campo estivo per bambini e famiglie sul campus della scuola Mary Mount a Roma.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.58, 1997
Sommario
Editoriale
Come fare una buona vacanza di M. Bertolini
Articoli
Una storia vera di M. T. Mazzarotto
Sordo cecità: conoscere per prevenire. Comunicare con una persona sordocieca
Un hamburger fatto bene di N.Schuìthes
Dedicato ai bambini - Flavio di Pennablu
Come progettare una comunità di M. Bartesaghi