In quel pomeriggio, Mariangela Bertolini raccontava la sua esperienza di mamma di Chicca, che era nata affetta da una grave disabilità, e di come la sua vita di donna, sposa e madre era stata rimodellata da questo evento. Fondatrice di Fede e Luce in Italia, condivideva con noi lo stupore per la fecondità di vita di questa grande famiglia. Ero stata invitata a una formazione a in via Cola di Rienzo, più di vent’anni fa. Le sue parole mi avevano portato a contatto con le profondità della mia coscienza, come solo sa fare la verità, come quando traspare all’improvviso che tutta la nostra vita è tessuta nel mistero pasquale. Durante la pausa mi avvicinai a Mariangela e le confessai con dolore: «Sa… ho 21 anni, sono tornata a frequentare la Chiesa da circa un anno e sto vivendo con gioia la bellezza di appartenere a Fede e Luce. Amo i “ragazzi”, ma ho anche paura… se sapessi di portare in grembo un figlio con disabilità, forse abortirei». Lei mi guardò con amore e mi disse: «La disabilità non è una cosa buona, non è desiderabile. Comprendo il tuo pensiero e se accadesse ciò che dici, non potrei giudicarti. Ti chiedo solo una cosa. Ricordati, se mai accadesse e non ce la fai… se tu volessi comunque farlo nascere… se vuoi, lo prenderò io». Le sue parole mi trafissero.
La Parola di Dio è viva ed efficace, è Parola creatrice che plasma, guarisce ed è certamente tale anche quando s’incarna nella vita di una persona. La testimonianza di Mariangela accese in me la consapevolezza che Dio può dilatare il cuore umano a una misura d’amore che supera i limiti creaturali, e allora ho desiderato trascendere questi limiti all’amore, proprio per accogliere e abbracciare ogni limite umano. Per il medesimo desiderio, due anni prima, in una corsia di ospedale al capezzale di mia nonna malata, era sbocciata la mia vocazione a essere medico. Il movimento interiore verso l’Amore si è alimentato d’innumerevoli testimonianze e parole pronunciate con la vita dei miei amici di Fede e Luce: ogni ragazzo, genitore e amico «è stato per me fratello, sorella e madre», come direbbe Gesù, oggi mio sposo.
Durante il mio noviziato in monastero, mi fu chiesto di raccontare la storia della mia chiamata a un gruppo numeroso riunito nel nostro santuario. Quando parlo del mio ritorno alla fede, non posso prescindere dall’esperienza di Dio e di comunione fatta a Fede e Luce. Avevo proprio bisogno dei “ragazzi”, del loro affetto, degli abbracci, dell’accoglienza, delle risate e delle lacrime, della loro amicizia. Non riuscivo a credere in un Dio astratto, dovevo toccarlo, lasciarmi toccare ed essere guarita. La radicalità dell’Amore che mi chiama a sé, mi porta a esprimere con profonda gratitudine che i “ragazzi” mi hanno salvata, che senza Fede e Luce forse non sarei, che sono stati per me come una mamma, poiché mi hanno fatto rinascere alla vita nuova, nella tenerezza e nella reciprocità dell’amicizia. Con un certo senso di vertigine, raccontavo alle persone che mi ascoltavano di come tanta grazia e gioia fossero entrate nella mia vita per mezzo di creature molto fragili agli occhi del mondo, se non quando considerate anche inutili e senza senso, per i limiti della loro esistenza.
Come le onde concentriche generate da un sassolino gettato in uno specchio d’acqua, il movimento provocato da Fede e Luce si è allargato a molti altri incontri ed esperienze dentro le quali mi si è rivelato il misterioso disegno della mia particolare vocazione alla vita monastica agostiniana. Agostino concepiva il monaco come l’uomo che cerca Dio insieme ai fratelli, secondo la parola ispiratrice dagli atti degli apostoli «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un’anima sola»: monaco da monos, inteso come colui che in Dio è reso uno con i suoi fratelli.
Nel quotidiano laboratorio di carità, fede e speranza che è la comunità monastica, la vita si fa preghiera di lode e intercessione, di offerta e comunione con ogni uomo sulla terra. Da qui il cuore continua a essere dilatato per imparare ad accogliere ogni fragilità come un terreno sacro di grazia, misericordia e risurrezione. Anche in monastero riconosco il profumo di Fede e Luce, e la comunità come il luogo della festa e del perdono. «Canti per noi il canto della Comunità?». Dalle prime esperienze fino a oggi, capita che le mie consorelle (sia anziane che giovani) mi chiedano di animare una ricreazione o un incontro con i laici con il canto di Fede e Luce. Cerco di schermirmi invano e poi cedo alla richiesta, ridendo in cuor mio nel considerare come Fede e Luce mi resti attaccata addosso.
Nonostante la distanza fisica e la sobrietà di comunicazioni che caratterizza la nostra forma di vita, non cesso di meravigliarmi della fedeltà e dell’affetto dei miei amici. L’immediata e profonda intimità che sperimento a ogni loro visita o telefonata mi conferma che anche da lontano continuiamo a camminare insieme, come pure la gioiosa accoglienza tra loro e le mie Sorelle è il segno di una famiglia che si è allargata.
Tanto è ancora e sempre dolce riposare nell’abbraccio di Carlo (non abbiamo le grate per segnalare la clausura!), quanto grande è il desiderio di essere spiritualmente vicina a ciascuno. Durante una recente degenza di Pablo in ospedale, il nostro amico Antonio che spesso andava a trovarlo, ci ha fatto il regalo di poter comunicare al telefono, ma le parole non ci bastavano… Allora ho cominciato a cantare Piccolo mio e poi Un milione di amici: sentire la voce di Pablo che si unisce al canto è veramente un dono del Cielo. Il Cielo, l’eternità… quel desiderio di pienezza di vita e comunione che portiamo scritto nel cuore, si manifesta nelle umili pieghe delle nostre giornate e ci innamora, se riconosciamo e accogliamo i suoi inviti. Un ricordo mi rimane nel cuore, luminoso e vivo come una promessa… Campo estivo a Passoscuro, si faceva il bagno al mare tutti insieme, anche Pablo e Carlo erano leggeri nell’acqua. Si ride, si gioca, si forma liberamente un girotondo e si canta. Intuisco che se già ora, nell’amore reciproco, la fatica, il dolore e la fragilità sono accolti, sollevati e consolati, di quale e quanta imperturbabile bellezza sarà la comunione del Paradiso.
Già ora è possibile contemplare le tracce di questa bellezza. Nel commento al salmo 44, Agostino scrive: «Gesù Cristo è bello in cielo, bello in terra; bello nel seno, bello nelle braccia dei genitori; bello nei miracoli, bello nei supplizi; bello nell’invitare alla vita, bello nel non curarsi della morte, bello nell’abbandonare la vita e bello nel riprenderla; bello nella croce, bello nel sepolcro, bello nel cielo». Racconta Rita che a Pablo bambino, interrogato dal sacerdote che doveva verificare se avesse cognizione di fede per ricevere la prima comunione, fu chiesto: «Sai chi è Gesù?» e Pablo rispose: «Sì, sono io!».
«Ti rendo lode o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli» (Matteo 11, 25). Immagino Pablo, come tante volte, che gongola soddisfatto e mi domanda: «So’ bello io? Ri-dillo! Ri-dillo!». Sì, Pablo, sei bello. Sì, Carlo, Eleonora, Franco, Luana, Maria Laura, Luciano, Teresa, Mario, Marco, Marina, Paolo, Simona, Emilia, Roberta… siete bellissimi, e io vi ringrazio con tutta la mia vita per avermi fatta innamorare dell’Eterna Bellezza di Dio.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.168