Ci sono incontri nella vita che non programmi, che semplicemente accadono, ti travolgono senza farti percepire la portata che avranno sul domani. Solo dopo anni, guardando indietro ci si trova a riconoscere proprio lì quel bivio in cui la vita ha preso la direzione che ci conduce a essere quel che si è oggi. La bellezza di questi incontri sta nel fatto che non si esauriscono in se stessi, ne portano altri e altri ancora, sono il primo anello di una catena che dà un senso nuovo alla vita.
Il mio incontro ha un giorno e un luogo: 27 dicembre 2000, Piccola Casa della Divina Provvidenza (ovvero Cottolengo) di Firenze. Soprattutto però ha dei nomi e dei volti, delle mani e dei sorrisi che mi hanno accolta con semplicità disarmante, conducendomi a quello che è stato il Capodanno più bello e speciale della mia vita.

Io, Elena, uscii da quella Piccola Casa ricca di un’emozione mai provata prima

Ancora non lo sapevo, ma quello non fu solo l’inizio di un nuovo anno: fu l’inizio di un’avventura ancora in corso. È passato tanto tempo, ma ricordo bene e con gratitudine quello che mi portai via da quei pochi giorni: era arrivata a Firenze una giovane universitaria molto sicura di sé, abituata a dimostrare il suo valore e le sue capacità in ogni occasione, convinta che la felicità bisognasse guadagnarsela e darsi da fare per raggiungerla. Ma in quella Piccola Casa la giovane scoprì presto che a nessuno interessava quanto fosse intelligente e capace, non contavano le sue doti sportive e la sua brillante parlantina su qualunque argomento: lì ciascuno era accolto e amato semplicemente per quello che era nella sua unicità, pur fragile e limitata. In poche parole io, Elena, uscii da quella Piccola Casa ricca di un’emozione mai provata prima: pur scoprendomi imbranata e incapace di rispondere alle richieste più semplici di quelle persone – un bicchier d’acqua, un aiuto per spostarsi dal letto alla carrozzina, il capire su che canale mettere per vedere il programma preferito – sperimentai un affetto e un’accoglienza mai provati, semplicemente fermandomi lì accanto a loro.

Quell’incontro si portò con sé altri incontri, e prima di tutto si rivelò essere l’Incontro per me con Colui che si è fatto piccolo e fragile per entrare nella nostra storia e salvarci. Attraverso i piccoli di Firenze il Signore Gesù entrò nella mia storia, mi regalò quella felicità che mai avrei potuto darmi da sola, ed eccomi oggi felice suora di San Giuseppe B. Cottolengo, il santo della carità che a inizio Ottocento fondò a Torino una grande opera per accogliere, dare casa e famiglia a chi casa e famiglia non aveva. Dal allora il Cottolengo è cresciuto ed è cambiato, ma continua a rispondere, come può, al grido dei poveri che non smette di risuonare da ogni parte del mondo.

Oggi vivo il mio quotidiano dividendomi tra l’impegno in un ufficio amministrativo a servizio dell’opera cottolenghina in Italia e una famiglia allargata con persone con lieve disabilità in un appartamento a Torino Sud; si tratta di un servizio in autonomia (tipo gruppo-appartamento), I Girasoli: viviamo in otto, prendendoci cura le une delle altre, ciascuna con i suoi doni e i suoi limiti: chi cucina, chi fa il bucato, chi la spesa, non mancano le feste, le visite degli amici, gite e vacanze insieme. Ciascuna ha una sua particolare attività o lavoro fuori casa.

Troppo spesso cadiamo nel rischio di dover fare qualcosa per l’altro, tanto fare e poco essere, invece più di ogni altra cosa è importante fermarsi, e guardare negli occhi l’altro è pronta a farsi domande, tantomeno dare risposte.

Il Cottolengo è conosciuto ai più per le grandi strutture, l’ospedale e le RSA, ma è anche altro. Come la piccola realtà in cui ho il privilegio di vivere nella semplicità e nella gioia, esperienza molto in sintonia con quello che ho avuto modo di respirare frequentando gli incontri di Fede e Luce con la mia famiglia.
Anche la scoperta di Fede e Luce la ritengo una tra quegli incontri speciali di cui vi ho parlato all’inizio. Grazie a un amico, una partita di bocce e una pizza mi sono trovata catapultata in un mondo che non conoscevo, ma che in un attimo ha avuto il sapore e i colori di casa. Chissà cosa avrebbe detto il Cottolengo – mi sono spesso chiesta – delle comunità dell’Arca e di Fede e Luce? Penso che avrebbe partecipato attivamente, e invitato i suoi figli a fare lo stesso… Vedo un filo rosso tirato da Qualcuno lassù che ci lega profondamente, una sintonia che penso si possa riassumere in queste parole donate alla famiglia cottolenghina da Giovanni Paolo II in visita alla Piccola Casa nel 1980: «L’amore è la spiegazione di tutto. Un amore che si apre all’altro nella sua individualità irrepetibile e gli dice la parola decisiva: “Voglio che tu ci sia”».

C’è un aspetto, un piccolo tassellino prezioso che ho scoperto frequentando Fede e Luce, e che è andato ad arricchire il mio essere madre e sorella nella famiglia che oggi il Signore mi ha donato: quello che in gergo fedelucino chiamiamo «il quarto tempo». Troppo spesso cadiamo nel rischio di dover fare qualcosa per l’altro, soprattutto quando gli altri sono più di uno, i bisogni sono tanti e le energie migliori vanno in organizzazione, programmi, attività. Tanto fare e poco essere, ma ancor di più poca attenzione all’unicità e alla preziosità di ciascuno. Grazie Fede e Luce per il dono di questo tassellino prezioso a vigilare sul mio vivere quotidiano, che spesso mi ricorda che più di ogni altra cosa è importante fermarsi, anche in silenzio e guardare negli occhi l’altro.

 

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.168

Copertina di Ombre e Luci n. 168 (2024)

L’incontro che cambia la vita ultima modifica: 2025-02-07T14:18:22+00:00 da Elena Bernasconi

Ogni mese inviamo una newsletter

Ci trovi storie, spunti e riflessioni per provare a cambiare il modo di vedere e vivere la disabilità.

Se prima vuoi farti un'idea qui trovi l'archivio di quelle passate.

Ti sei iscritto. Grazie e a presto... anzi alla prossima newsletter ;) Se ti va, quando la ricevi, facci sapere che ne pensi. Ci farebbe molto piacere.