C’è chi è riuscito a laurearsi, chi ha il sogno di aprire un panificio continuando a custodire i segreti della tradizione, chi vuole aiutare i più fragili e mettersi in ascolto degli altri. I bambini di Chernobyl non sono più bambini. Sono donne e uomini che hanno prima attraversato e poi superato il trauma del distacco riscattando le loro vite. Tutto questo non sarebbe stato possibile se non ci fosse stata la mano tesa e solidale di chi li ha accolti a braccia aperte.
È questo che racconta Le cicogne di Chernobyl, il lungometraggio diretto da Karim Galici proiettato in anteprima nazionale venerdì 15 marzo alla Casa del cinema di Roma. Storie di rinascita e solidarietà. Si parte dal racconto del disastro nucleare alla centrale ucraina del 1986 – quello dove morirono ufficialmente 31 persone e a causa del quale si ebbero negli anni seguenti contaminazioni e ancora centinaia e centinaia di morti – e si arriva alle vicende personali dei protagonisti.
Quei bambini di allora, appunto, ritrovatisi all’improvviso in Italia. In una comunità, più in particolare quella sarda, che è diventata la loro casa. «Si è trattato di un’esperienza incredibile – ha detto il regista Galici -. Un’esperienza in cui abbiamo respirato un’aria che a distanza di quasi quarant’anni è ancora pesante. Abbiamo potuto intervistare chi è sopravvissuto al disastro e siamo entrati nelle zone che furono evacuate con chi ha la fortuna di poter adesso raccontare quei momenti, ma ha pagato – ha continuato Galici – il prezzo altissimo di perdere la propria casa, la propria cittadina e in alcuni casi la propria famiglia. Storie di distruzione che è stato bello raccontare con il punto di vista della ricostruzione. Ad iniziare dalle singole persone sino ai popoli coinvolti e ai loro territori».
Così minuto dopo minuto, guardando il film, si scoprono storie incredibili: i tre fratellini, cresciuti separati in diversi orfanotrofi e poi ritrovatisi in un’unica grande famiglia; la ragazza che decide di tornare a casa per amore; le bambine diventate amiche dopo essere state accolte da una nonna in un piccolo paese sardo. Veri e propri ponti che uniscono e mai dividono. Legami straordinari nati da una circostanza drammatica, che ha costretto queste persone a lasciare tutto e scappare per mettersi in salvo.
Prodotto da Cittadini del Mondo-Cinema per il sociale, con il sostegno della Fondazione di Sardegna nell’ambito del progetto “Reti percorsi sociali, culturali, solidali”, l’opera mette insieme i tratti del reportage giornalistico a quello poetico della narrazione cinematografica. E insegna che quando tutto sembra perduto c’è sempre una seconda possibilità. Qualcuno, alla fine del film, dice che le cicogne, a causa del disastro nucleare dell’86, in Bielorussia non ci sono più: hanno fatto però in tempo a migrare in Italia e in altri luoghi, dove hanno lasciato quei bambini capaci di riprendere in mano il loro futuro, la loro vita.
Dai primi anni Novanta e fino agli inizi del 2020 l’Italia ha accolto circa seicentomila bambini bielorussi e centomila ucraini. Inoltre centinaia sono le associazioni che in tutto il Paese hanno organizzato le accoglienze, in alcuni casi trasformatesi poi, con le relative autorizzazioni, in adozioni.
In un momento critico, di guerra, come quello attuale questo film non può, dunque, che restituire speranza. Fa riflettere sul fatto che, nonostante tutto, molte cose non sono perdute. Consigliato per conoscere un pezzo di quella che può essere definita a tutti gli effetti la nostra Storia, il pezzo di cui andare orgogliosi.
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