La raccomandazione del mio terapeuta è di tenere sempre fuori l’aspetto psichiatrico. I ricoveri per intenderci. Questo lato spaventa sempre. Eppure, posso tranquillamente dire, a forza di esperienze, che chi ha il problema psichiatrico o riconosce di avere il problema, è più serio di chi appare normale, senza problemi». Così si presenta Lino, nato a Pistoia nel 1979, in uno dei molti passaggi introspettivi del diario tenuto per sette anni (2009-2016). Pagine in cui alterna alti e bassi, periodi di studio e lavoro (come avvocato) a ricoveri presso strutture psichiatriche, da dove entra ed esce per curare il disturbo borderline che gli è stato diagnosticato. Lino è stato uno dei finalisti della 39esima edizione del Premio Pieve Saverio Tutino, ideato e organizzato dall’Archivio dei Diari, il cui fine quello di recuperare la memoria di gente apparentemente minuta dando così voce a chi altrimenti non l’avrebbe (i manoscritti vengono custoditi così come giungono all’Archivio, refusi inclusi; chiunque può partecipare). La scrittura di Lino segue l’andamento della sua salute e dei suoi stati d’animo. Lavoro, relazioni amorose, difficile rapporto con i genitori, droghe, religione: sono i temi sui quali Lino riflette, cercando la strada da intraprendere. Cerca risposte alle sue domande, ma anche semplici momenti di tranquillità, frequentando eremi e monasteri, luoghi simbolo della mistica cristiana (come ad esempio Camaldoli). Ma anche nel pieno isolamento non sempre Lino riesce a trovare la pace interiore. Le cure a cui, instancabilmente, si sottopone a volte forniscono frammenti di risposta alle domande che lo tormentano. Giorno dopo giorno, alternando la cronaca del quotidiano a pensieri più profondi o a momenti di poesia, Lino descrive lo scorrere della sua vita che sembra destinata a seguire le interminabili oscillazioni di un pendolo («Questo diario sembra giunto al suo termine. Un altro periodo della mia vita è scandito: la caduta e la ripresa. Siamo ricaduti ed ora tocca alla ripresa»).
Diario di Lino, 31 agosto 2014
La lettura del vangelo mi sta aprendo gli occhi, mi sta cambiando. È come se avessi soltanto voglia del vangelo, senza preoccuparmi di VIZI o del lavoro. Certo, il percorso terapeutico ha avuto i suoi risultati. Ma non credo sia questo. Del lavoro sono fortemente convinto di riuscire. Ma devo cambiare molte cose. È necessario capire qual’è la nostra vocazione, sentire di essere mossi da qualcosa, dallo Spirito, e lasciarsi guidare dallo Spirito nel quale siamo immersi.
Il mio sguardo è come se fosse graziato. Il desiderio della donna, o meglio la donna, non è più qualcosa che si pone davanti, mi blocca e mi fa star Male, Ma è come se lo trapasso. Credo che il lavoro con i detenuti debba continuare, ma rinnovato, più distaccato. Ma devo capire quanto quello che faccio sia conciliabile con l’amore. Amore è il nostro scopo, il nostro essere. Se ci fermiamo, in una foresta, o su una spiaggia o dove volete, capiamo che siamo fatti di amore.
Tutte le notti andavo a letto con la paura della morte. Adesso non sento la stanchezza. Un sacerdote, da M, mi disse: la notte, veglia, chiudi gli occhi, e se non dormi, veglia, ne riceverai. Il volto compassionevole e così dolce di M. Tutto questo mi ha cambiato. (…) Percepisco l’atto contrario alla coscienza, il pentimento, il peccato, l’impoverimento. Ieri sera per la prima volta mi guardavo il corpo, lo sentivo e mi toccavo queste gambine secche. Accarezzavo le braccia. Come è bello scrivere, vorrei sempre e solo scrivere, ma perché mi sono così affannato per il domani! Maledetti genitori, anche sé non nutro odio verso di loro, ma sento che voglio stare lontano. Quanta incrostazione mi è stata messa. E adesso voglio soltanto raggiungere la nudità dell’essere. Diffondere la pienezza di questo amore nel mondo, guardando, toccando, sfiorando, nella consapevolezza che tutto viene a te. Ma sono stato uno sciocco, perché in realtà questa fede era già dentro di me, già cristiano, ma non ci credevo. Non credevo di credere. Me ne vergognavo.
Molte persone avevano visto, soltanto io non mi vedevo. Chiuso, in disparte, nella fortezza della ragione, della diffidenza, del giudizio degli altri. Un concezione della giustizia totalmente sbagliata. Non mi interessa nemmeno più questa giustizia degli uomini. L’unica realizzazione della giustizia per me è diventata quella di liberare il mio essere, il mio già (…) amore, da tutte queste passioni, ire, desideri di affermazioni di sé. Liberarsi da tutti quei falsi ideali, in primis quello della giustizia. Falsi ideali che nascevano dalla ragione. Soltanto il cuore-amore produce l’unico ideale vero: l’ideale di amore.
Ma dobbiamo stare attenti a non cadere in un atteggiamento diffuso. Molte persone raggiungono questo amore, questo sé, questa consapevolezza, ma poi la perdono, si privano di quell’amore, si svuotano. Invece, percepisco che Dio è qualcosa che deve essere nascosto, anche nel semplice sguardo con una persona. Quel Dio, quell’amore, va nascosto, va protetto. Questa consapevolezza va protetta, non va ostentata come fanno molti, cadendo nell’emotivismo, anche nella religione. Perché questo amore che ci viene dato e di cui diventiamo consapevoli non ci viene dato senza niente in cambio, ma ci viene richiesto di proteggerlo, di coltivarlo.
Ci viene richiesto anche un impegno. L’impegno più grande è quello di non cadere in tentazione. Subito dopo aver raggiunto questa consapevolezza, questo amore percezione, siamo messi alla prova. A me succede sempre così. E quì dobbiamo essere forti e farci violenza. (…) Riuscire a non cadere nelle varie tentazioni che tutti i giorni ci assalgono. Però al mattino ci riscopriamo ricoperti di quell’amore. Ecco dove sta l’emotivismo di molte religioni. Arrivano a mettere in secondo piano l’aspetto del sacrificio verso se stessi. Ed allora, sembra che quelle persone di fede abbiano creato dei giardini fioriti, in realtà si tratta solo di fumo fiorito, senza radici. Non prospererà.