«Se ho aiutato qualcuno è fantastico (…) così come altri registi hanno aperto le porte a me (…) (Ma) non posso prendermene il merito, perché queste donne hanno la loro energia, stanno venendo fuori, vogliono realizzare le loro cose e condividerle».
Sono parole di Jane Campion, considerata una pioniera della regia al femminile nel mondo del cinema contemporaneo. Le ha dette durante il 77° Locarno Film Festival, che le ha assegnato il Pardo d’onore Manor, dove le è stato ricordato di essere stata un esempio per le donne che oggi si fanno apprezzare dal pubblico e vincono premi con i loro film; Campion è stata la prima regista a vincere la Palma d’Oro a Cannes e l’unica a essere stata candidata due volte agli Oscar per la migliore regia (ha vinto nel 2022).
Il cinema di Jane Campion è ancora oggi importante per la forza dei suoi personaggi femminili, ben diverse dai ritratti cinematografici dei decenni precedenti: sono spesso donne che devono superare l’ostracismo che la società riserva loro, considerandole sbagliate o inferiori.
I due film mostrati al pubblico di Locarno per omaggiarla lo dimostrano bene. Un angelo alla mia tavola (1990) è tratto dai libri autobiografici della scrittrice Janet Frame, alla quale fu diagnosticata per errore una forma di schizofrenia quando aveva poco più di vent’anni: rimase per molto tempo in un ospedale psichiatrico, subì centinaia di elettroshock e non fu lobotomizzata solo perché le sue opere iniziarono a essere pubblicate e premiate quando ancora era ricoverata.
Nella visione di Campion, non c’è alcun romantico legame tra follia (peraltro inesistente) e genio artistico; l’abilità nella scrittura non è conseguenza di problemi mentali ma anzi un modo per difendere il proprio diritto a esistere. Con la sua presenza fisica forte (per via del cespuglio di capelli rossi in testa) e la sua anima fragile, Frame è una contraddizione a cui il cinema riesce a dare il giusto posto nel mondo.
È invece un personaggio di finzione, ma indimenticabile, la protagonista di Lezioni di piano (1993): una donna scozzese dell’Ottocento che viaggia fino in Nuova Zelanda per sposare un uomo che non conosce, non parla dall’età di sei anni, ama suonare il pianoforte più di ogni altra cosa. Il suo silenzio la fa apparire debole e manovrabile, ma dimostra un coraggio enorme nel far risaltare la sua personalità mai doma.
Anche in questo caso, il personaggio femminile non è definito da una mancanza (la voce) quanto piuttosto da una presenza, quella dalle sue passioni (suonare, ma anche amare l’uomo che impara a rispettarla anziché quello che la vorrebbe sottomessa). Riuscirà a superare anche la sua seconda, ben più violenta, incompletezza esteriore, perché la ricchezza della sua interiorità non viene mai intaccata.
Tornando all’esempio che Campion ha rappresentato per le registe venute dopo di lei, anche l’edizione 2024 del Locarno Film Festival può essere letta come un passaggio di testimone. Il Pardo d’Oro è stato vinto da una regista lituana, Saulė Bliuvaitė, con Akiplėša (Toxic): le protagoniste sono due tredicenni che forse anni fa nessuno avrebbe ritenuto meritevoli di essere al centro di un film. Vivono in una triste cittadina industriale lituana, diventano amiche e sognano di fare le modelle: Marija ci prova nonostante una leggera zoppia per la quale viene spesso sminuita e derisa dalle altre ragazze, ma anche Kristina è insoddisfatta del suo corpo tanto da essere anoressica.
L’assenza di figure materne le lascia sole nel rapporto coi loro corpi, cosicché sono le idee altrui a plasmare un ideale impossibile cui aspirare: c’è insistenza nel mettere a confronto, scena dopo scena, la gioia della complicità adolescenziale tra ragazze con la violenza di voler mutare la propria esteriorità. È il realismo nel mostrare il difficile passaggio tra infanzia e età adulta, il maggiore merito della regista: due giovani che si vedono imperfette ci insegnano, tuttavia, a guardarle anche con il rispetto che si deve a chi può ancora scrivere interamente il proprio futuro.
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