Don Mario Campidori entrava nelle case delle persone con disabilità, per incontrarle, conoscerle e farle uscire fuori dalle mura all’interno delle quali vivevano, troppo spesso in solitudine. Le invitava ad andare con lui nelle parrocchie e, fatte le dovute presentazioni, non si poteva più pensare che quelle persone non esistessero: andavano cercate e accolte nella comunità parrocchiale. Nel 1973 diede vita al movimento Simpatia e amicizia, la cui prima iniziativa fu quella di costruire un villaggio senza barriere: nacque così il Pastor Angelicus a 40 chilometri da Bologna per tempi di vacanza accessibili a tutti. Più recentemente lo spirito di quel villaggio ha trovato casa in città, in un edificio all’interno del terreno del seminario arcivescovile, ristrutturato grazie ai fondi ricavati dalla gestione della Faac, nota ditta produttrice di automatismi per cancelli.
Nel 2018 nasceva così Famiglia della Gioia, una vera e propria casa completamente accessibile, con un appartamento, alcune camere e ampi locali di servizio, al cui interno si svolgono laboratori e attività ricreative, musicali, artistiche. L’appartamento e le camere vengono utilizzate per fine settimana di autonomia e sollievo da associazioni preposte nel territorio; per condividere, tra amici, del tempo insieme; per accogliere in caso di ricoveri ospedalieri di un familiare o per facilitare ricoveri programmati di chi ha bisogno di una struttura di appoggio senza barriere vicina al nosocomio.
Due volte a settimana, inoltre, il laboratorio di cucina Le pappe di Pippo si dedica alla pasta fresca ripiena e secca. «Silvia voleva ricordare il figlio Filippo, morto con il padre in un incidente nel 2009, attraverso una delle sue passioni, quella della cucina. E così abbiamo potuto dare avvio al progetto» racconta Emanuele Giusti, coordinatore della struttura dal 2016, 28 anni, con una formazione da economista, prestato cuoco, educatore, animatore, in virtù dei tanti anni da volontario al villaggio. «All’inizio la pasta fresca prodotta era destinata agli stessi utenti; poi, visto che i prodotti erano buoni e piacevano, l’attività si è trasformata in un piccolo laboratorio-ristorante di cucina domestica che ha la possibilità di vendere e di ospitare piccoli eventi di ristorazione come compleanni, feste di laurea, aperitivi o cene».
Il laboratorio intergenerazionale («obiettivo è la famiglia umana nella sua interezza») coinvolge circa 20 persone con disabilità, 4 operatori della fondazione e 10-12 volontari, giovani che hanno passato parte della loro estate al villaggio, giovani seminaristi in formazione, uomini e donne in pensione. C’è anche un gruppetto di nonni che trasmettono le loro sapienze quotidiane: uno, ex casaro novantenne, ha confessato «di sentirsi utile e voluto bene nel trasmettere quello che nella vita ha coltivato». Persone che sperimentavano una fragilità per il pensionamento, la solitudine, le fatiche personali o la depressione, «ritrovano un senso di utilità, di rinascita e riscatto». Oltre alla pasta fresca, il laboratorio produce pasta secca e pasticceria per cesti natalizi o altre ricorrenze; c’è quindi l’attività di impacchettamento che dà il giusto spazio alle velleità più artistiche.
Non manca lo sguardo pragmatico alla sostenibilità del progetto, ma rimane chiaro l’obiettivo di ogni attività proposta nei tanti progetti (musica, arte, cucina, orto, incontri con le scuole), fedeli allo spirito del fondatore: superare la solitudine di tutti nell’amicizia, attraverso opportunità che alleggeriscano il quotidiano e diano un senso al proprio esistere. Un bel miracolo, insomma, in un seminario diocesano.