• Franco Basaglia nasce a Venezia l’11 marzo 1924. Finito il liceo classico, va a Padova per studiare medicina. Frequenta un gruppo di studenti antifascisti; tradito da uno di loro, viene rinchiuso per 6 mesi nelle carceri della Repubblica di Salò. L’esperienza lo segna profondamente, come lui stesso racconterà anni dopo ripercorrendo l’ingresso in un’altra istituzione chiusa, il manicomio.
  • Dopo la laurea nel 1949, inizia a frequentare la clinica delle malattie nervose e mentali, dove lavora come assistente fino al 1961. Alla pratica affianca da subito un grande lavoro di scrittura e di riflessione pubblica. Nel 1952 consegue la specializzazione in malattie nervose e mentali, e l’anno dopo sposa Franca Ongaro (avranno due figli): il loro sarà un fruttuosissimo sodalizio intellettuale.
  • Nel 1958 ottiene la libera docenza in psichiatria ma, per resistenze in ambito accademico, rinuncia alla carriera universitaria. Vince il concorso per la direzione dell’ospedale psichiatrico di Gorizia, dove si trasferisce con la famiglia: l’impatto con la realtà manicomiale sarà drammatico. «Io non firmo» è una delle prime decisioni del neo direttore; rifiutando la pratica di legare con cinghie di cuoio i degenti, Basaglia indica la strada che intende percorrere: slegare i “matti”, umanizzare quel luogo non luogo, atroce, buio, sporco, violento e umiliante. Aiutato da un gruppo di giovani psichiatri, segue il modello della comunità terapeutica mutuato dall’esperienza di Maxwell Jones in Scozia. A Gorizia si inizia così ad applicare nuove regole di organizzazione e comunicazione; rifiutando contenzioni fisiche ed elettroshock, si presta attenzione alle condizioni di vita e ai bisogni degli internati, si organizzano assemblee, si aprono spazi di aggregazione sociale, si avviano laboratori. Le novità sono tante, altrettante le difficoltà.
  • Nel 1968 esce L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico con il quale Basaglia fa conoscere a livello internazionale l’esperienza innovativa di Gorizia, sancendo la nascita del movimento antiistituzionale; diverrà uno dei libri-simbolo della contestazione, vendendo 60mila copie in 4 anni. Inizia a circolare il nome del medico e la sua idea di ridare centralità alla persona fragile, rifiutando l’istituto manicomiale e rilanciando un concetto di terapia che non è solo farmaco, ma è «azione, è (…) farsi carico dei bisogni radicali delle persone: il bisogno di avere una casa, un lavoro, uno stipendio, degli affetti, delle relazioni». Per Basaglia è fondamentale «avvicinarci alla malattia e al malato» attraverso un lavoro «estremamente dialettico»: lo afferma rispondendo a Sergio Zavoli nel documentario I giardini di Abele, girato a Gorizia con anche le voci dei pazienti, in onda proprio nel 1968. Due anni dopo Basaglia lascia Gorizia per Colorno (Parma) dove avvia un processo di trasformazione che si rivela presto ancora una volta molto difficile.
  • Dal 1971 è direttore dell’Ospedale psichiatrico San Giovanni di Trieste che solo due anni dopo viene riconosciuto come struttura pilota per i servizi di salute mentale: non sarà facile («Sono stati anni durissimi», racconterà poi Beppe Dell’Acqua, «per la gente eravamo gli psichiatri capelloni, gli psichiatri comunisti e terroni, parecchi di noi venivano dal Sud»), ma sarà possibile. Qui nel 1972 nasce Marco Cavallo, la statua mobile in legno e cartapesta, mentre domenica 25 febbraio 1973 se ne spalancano le porte, in anticipo sulla chiusura ufficiale che avverrà quattro anni dopo, quando il manicomio diventa il Parco San Giovanni, tutt’ora funzionante e molto attivo.
  • Il 13 maggio 1978 viene approvata la legge 180 (Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori) che cambia in radice l’assistenza psichiatrica in Italia. Nonostante le mai nascoste riserve, Basaglia non rifiuta la paternità di questa normativa quadro che da allora verrà da tutti ricordata semplicemente come «legge Basaglia». Essa dispone la chiusura degli ospedali psichiatrici e la proibizione di aprirne di nuovi; sposta dai nosocomi al territorio il fulcro dell’intervento psichiatrico, attraverso centri ambulatoriali e strutture intermedie; istituisce servizi di diagnosi e cura all’interno dei nosocomi. La legge farà scuola nel mondo.
  • Dopo le conferenze brasiliane del 1979, a novembre Basaglia lascia la direzione di Trieste a Franco Rotelli: si trasferisce a Roma con l’incarico di coordinatore dei servizi psichiatrici della Regione Lazio; così, mentre iniziano i primi attacchi alla 180, avvia programmi di deistituzionalizzazione di alto profilo (chiedendo carta bianca all’amministrazione regionale). Purtroppo però nella primavera seguente si manifestano i primi segni di un tumore cerebrale: il 29 agosto 1980 Basaglia muore a Venezia. Ha 56 anni.
  • Tra lo shock della scomparsa improvvisa, i problemi della sanità in transizione e i familiari di fatto abbandonati a loro stessi, iniziano tempi difficili. Sarà quindi Franca Ongaro a impegnarsi per applicare davvero la 180, completare il processo di smantellamento dei manicomi e della logica manicomiale, formare gli operatori e sostenere le associazioni di familiari. Tutto ciò, dal 1983 anche come senatrice (viene eletta come indipendente del Pci per due legislature). A lei si deve la stesura di varie disposizioni regionali volte a sollecitare la «cultura dell’accoglienza» del malato psichiatrico, la predisposizione dell’appoggio ai familiari (specie alle donne che, di fatto, sostengono tutto il peso della chiusura dei manicomi), l’abrogazione della legislazione speciale per i malati di mente, la parificazione giuridica tra malattia mentale e non, la realizzazione in carcere di strutture sanitarie idonee a curare i disturbi psichici dei detenuti, la collaborazione tra organi penitenziari e servizi psichiatrici territoriali. La strada è tracciata, ma resta ancora tanto da fare. 

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.167

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«Il grande traghettatore» punto per punto ultima modifica: 2024-11-26T13:18:31+00:00 da Nicla Bettazzi

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