Il Far East Film Festival ha un forte legame col cinema di Hong Kong: la scintilla da cui nacque la prima edizione del 1999 fu una rassegna di film hongkonghesi. Ma ha ancora senso parlare di cinema di Hong Kong, oggi che la specificità di quel luogo è stata cancellata dal governo cinese? Il FEFF continua a indicare i film di Hong Kong separatamente rispetto a quelli cinesi e riesce ancora a scovare qualcosa di interessante.
È il caso di In Broad Daylight di Lawrence Kan, ispirato a inchieste giornalistiche pubblicate nel 2016 in una Hong Kong dove c’era ancora libertà di stampa. In città, le case di cura autorizzate sono in numero grandemente insufficiente rispetto alla richiesta di posti letto, perciò ne sono state aperte molte altre private ed esentate dall’autorizzazione; in una di queste, che accoglie anziani e persone con disabilità fisiche e intellettive, una giornalista finge di essere la nipote di un anziano ospite e inizia la sua indagine tramite osservazione, ascolto dei racconti dei pazienti, raccolta di prove fotografiche e video. Scopre una quantità di abusi tale da far rabbrividire, ma non sempre la verità da rivelare all’opinione pubblica coincide con la giustizia. La sceneggiatura, con una piccola forzatura narrativa, offre qualche dilemma etico in più rispetto ai classici film di giornalismo d’inchiesta: si può sospettare che la giornalista sia alla ricerca di uno scoop e non del benessere dei pazienti… ma il suo interesse appare sincero; il gestore del centro, il “cattivo” della storia, è ipovedente e può sostenere, nonostante le prove contro di lui, di essere legato ai suoi pazienti perché li può capire. È apprezzabile che gli abusi non vengano mostrati in modo esplicito: riprendendoli indirettamente, risulta più chiaro perché sia difficile portarli prima alla luce e poi in tribunale, senza esserne testimoni diretti.
Il FEFF non è intimidito dalle pressioni cinesi su Taiwan, lo stato indipendente reclamato dalla Cina (che oltre alla sovranità chiede che il paese si chiami Taipei cinese), e anche quest’anno presenta film taiwanesi. Di Taiwan abbiamo visto il triste e delicato Trouble Girl di Chin Chia-hua. La bambina del titolo, Xiao-xiao, frequenta la quinta elementare; ha un disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) e non è facile gestirla. Sua madre, separata dal marito, mostra una certa insofferenza; ha una relazione col professore della bambina, tenuta nascosta alla scuola, e lui prova in tutti i modi ad aiutarla ma viene spesso percepito come elemento estraneo alla famiglia. Le scene scolastiche sono essenziali per capire il dramma sociale di questa condizione: avere una studentessa volubile e imprevedibile rappresenta un intralcio, talvolta anche un pericolo, per i compagni di classe; ma essi, né educati né guidati su come comportarsi con lei, diventano crudeli, la provocano, la bullizzano. Di questo film così dolente si apprezzano l’equilibrio e l’onestà: si mostra in modo esplicito un problema sociale di difficile soluzione senza esagerare con l’emotività spicciola né immaginare un finto lieto fine, ponendo invece le basi per un dibattito schietto tra tutte le diverse componenti sociali che devono confrontarsi con chi ha l’ADHD.
Restando in tema di rapporti tra genitori e figli, il FEFF 26 è stato vinto da un altro film commovente ma meno amaro, il giapponese Takano Tofu di Mihara Mitsuhiro: storia del forte rapporto tra un anziano produttore di tofu e la figlia quarantenne, tra rispetto delle tradizioni e accettazione della modernità.
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