È forse la giornata più piovosa dell’anno quella scelta dall’orchestra Chiave di Volta per il concerto da offrire alle comunità romane. L’orchestra ha vinto un finanziamento regionale per suonare in luoghi dove di regola la musica non arriva: ospedali, case famiglia, carceri. Il giovane direttore è stato a scuola con l’amico di una comunità romana, e da qui l’idea di un concerto a favore di Fede e Luce, occasione per far conoscere il movimento.
Ma non è una normale giornata di pioggia, perché l’acqua viene dal cielo come a secchiate, allaga strada e scantinati, infradicia e inzuppa anche con l’ombrello. Occorre prendere la macchina, attraversare la città sino a San Gaetano, dove il parroco ci ha sempre aperto le braccia, e trasbordare sotto l’acqua carrozzine e persone anche anziane. Eppure la gente arriva, piano piano la chiesa si riempie per l’evento, così insolito per il movimento come un concerto di musica classica. L’orchestra è di archi, giovanissimi i musicisti, giovanissimo il direttore con i suoi 21 anni. In programma Mozart, Mendelssohn, Respighi: un’ora di musica.
Si comincia con un video, che racconta di Fede e Luce, della sua storia e organizzazione. Vengono riprese immagini di feste e di incontri, di gioia condivisa, di canti e balli. Poi Giorgia Fontani, sorella di Corrado che da pochi anni ci ha lasciato con grandissimo dolore di tutti, racconta l’esperienza del suo ingresso in comunità, tredicenne al seguito della famiglia, dell’impressione e dello stupore allora provati nel vedere tanti amici, di pochi anni più grandi di lei, passare la domenica con il fratello e gli altri ragazzi, nel sentire l’accoglienza riservata a sé e alla sua famiglia.
Nell’ascoltarla provo sensazioni contrastanti. La testimonianza di Giorgia, richiamando una esperienza concreta di vita, tocca nel profondo e commuove. Allo stesso tempo, suscita e rinfocola riflessioni sulla strada che percorre Fede e Luce, sul momento che attraversa. Dove sono ora i giovani che Giorgia ricorda nella comunità dove entrava tredicenne? Ci guardiamo e ci vediamo invecchiati, amici e ragazzi. Hanno senso ancora i nostri incontri, o i cambiamenti della vita e della sensibilità sociale li hanno resi inutili e superati? E quanto emerso sulle condotte che avrebbe tenuto uno dei fondatori, la figura più carismatica del movimento, non spinge il dubbio ancora più in là?
Giorgia ha terminato la testimonianza. Si fa silenzio perché inizia il concerto. Tengo gli occhi chiusi, ancora preso da questi pensieri.
Quando l’orchestra comincia a suonare, la bellezza mi viene incontro a ondate, mi lascia stupefatto. E aumenta la commozione, perché mi comunica una sorta di conoscenza interiore: la musica che sta risuonando di fronte alle comunità, così bella, ci viene data stasera come rivelazione e segno della bellezza delle relazioni che nelle comunità si realizzano, quando la forza oppressiva della sofferenza viene rivolta in ragione di unità e di reciproca sollecitudine.
L’accoglienza che nasce è rivestita, per quanto in forma umile e nascosta ai nostri stessi occhi, della medesima bellezza trasfigurante di Dio, che la musica esprime nella chiesa a voce tanto alta e a nome di tutti. Questo ascolto, e resto come attonito dalla forza e dalla forma che assume questa specie di rivelazione.
Il concerto si dipana nelle sue diverse parti. Si tratta di ascoltare seduti e in silenzio, salvi gli applausi, prolungati e scroscianti. A dispetto della forzata immobilità, al termine si vedono visi distesi e felici. Hanno tutti voglia di parlarsi ora, e la gente si trattiene volentieri per salutare e fare i complimenti a direttore e orchestrali. La chiesa è piena di gente che chiacchiera, la sacrestia ingombra di strumenti musicali. Il parroco a ragione si infuria perché la messa vespertina deve cominciare.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.162