Il cinema ha offerto alcune importanti occasioni di confronto con i temi del disagio mentale suggerendo prospettive particolari: importanti sceneggiature e interpreti capaci hanno saputo dare contorni e spessore ad una dimensione possibile e non così improbabile dell’esistenza. Spesso, guardare una pellicola è divenuto mezzo e spunto di riflessione, pur non esaustivo, non solo per conoscere e immaginare esperienze forse apparentemente distanti da quelle quotidiane ma anche per confrontarsi con le proprie fragilità in ambiti comunitari e terapeutici. Nasceva così, quattordici anni fa, il progetto del Film Festival della Salute Mentale Lo Spiraglio, in uno dei centri diurni della Asl Roma 1 frequentati da chi vive nel disagio psichico.
Spiega Lucia Simonelli, tutor del progetto e tecnico della riabilitazione psichiatrica, che «il progetto, fortemente integrato per il pari coinvolgimento di professionisti, terapeuti e utenti, offre borse lavoro finanziate dal comune di Roma; in particolare circa 6-8 persone con disagio psichico, individuate all’interno dei centri del territorio, sono avviate a percorsi riabilitativi, tirocini di lavoro e stage formativi dove è prevista l’acquisizione di conoscenze che vanno dalla visione critica di film, alla catalogazione, alla computer grafica, al montaggio video, alla fotografia, alla comunicazione, all’organizzazione di eventi culturali e scientifici. Insomma, una sorta di agenzia culturale pubblica che incrocia cinema, arte e salute mentale». Un bel corpus di abilità che ogni anno a novembre vengono messe in campo quando esce il bando che regola la partecipazione al concorso. I corti e lungometraggi vengono visionati dal gruppo di lavoro (rigorosamente misto) che opera la scrematura per il concorso finaele, sempre più difficile visto l’aumento dei titoli inviati non solo di quantità (quest’anno 160) ma anche di qualità dei film. Si lavora quindi alla realizzazione del festival in tutti i suoi aspetti mediatici: il catalogo, le clip, i trailer promozionali, la comunicazione digitale e tradizionale… fino a che, intorno alla fine di aprile (quest’anno dal 13 al 15), prende il via l’evento.
Logo e nome del festival sono stati immaginati e realizzati da uno degli utenti storici del progetto: il logo mostra due persiane socchiuse che lasciano intravedere una fonte luminosa, invito ad aprire uno spiraglio nelle menti di chi non ha esperienza di malattia mentale e di chi, invece, deve continuamente elaborare la propria condizione patologica. Sottolineava Montini, direttore artistico del festival, lo scorso anno che «lo sforzo, è sempre quello di presentare film nei quali il valore contenutistico e il rigore scientifico si armonizzino con un’adeguata qualità della messa in scena e del linguaggio utilizzato»: avvicinare mondo artistico e scientifico («ovvero chi opera concretamente nel settore e chi ha il compito di comunicare questa realtà») ha favorito la diffusione di un’informazione più corretta, più autentica, più veritiera su un mondo raccontato troppo spesso, soprattutto dalla stampa e dai media generalisti, per luoghi comuni poco corrispondenti alla realtà. Realtà che invece ha bisogno di superare lo stigma e la solitudine in cui continua ad essere emarginata. Occasioni da «godere» – aggiunge quest’anno Federico Russo, direttore scientifico del festival – per riuscire a cogliere di «quale bene straordinario stiamo parlando e che non riguarda solo chi ha un disturbo psichico o una famiglia che lo affronta, ma tutti noi, nessuno escluso».
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.162