Quando ripenso ai tanti lavori che ho fatto nei miei 48 anni, quello che mi è piaciuto di più è sicuramente il lavoro che ho avuto tramite l’Associazione italiana persone down all’Archivio di Stato di Bari. Mi avevano detto che dovevo lavorare con il “libro nero” del periodo fascista. Non dovevo preoccuparmi, però, perché si trattava di persone decedute oppure molto anziane. Erano quelli che negli schedari delle Questure venivano chiamati “malfattori” o “sovversivi” oppure “socialisti” o “comunisti”. E io dovevo inserire i loro nomi e indirizzi in un computer per evitare che quel “libro nero” si perdesse. Bei ricordi… quel lavoro però è finito da un pezzo. Ora sono alcuni mesi che non ho un impiego stabile.
Sono contento di avere tempo per dare una mano a don Gianluca nella parrocchia del Sacro Cuore di Monopoli, la mia città, ma preferirei un impiego vero e proprio. L’ultima volta che ho lavorato è stato nella primavera scorsa. Non era proprio un lavoro, ma poteva diventarlo! Era un corso di formazione regionale. Ora vado a leggere l’attestato per dirvi esattamente per cos’era questo corso… ecco “autoimprenditorialità” e “autoimpiego”. In pratica, hanno detto a me e a un altro amico disabile di far finta di aprirci un bar nel centro storico di Monopoli. Lui poteva stare al bancone e io potevo prendere le prenotazioni, che sicuramente sarebbero arrivate. Abbiamo fatto queste finte – ora leggo come le chiamavano… ecco ”simulazioni” – per tante ore. Dovevamo arrivare a 192 ore per poter finire il corso ed essere pagati. Ecco perché l’avevo chiamato lavoro, perché alla fine ci hanno dato un piccolo stipendio. Io comunque il bar volevo far finta di aprirlo con la mia amica Anna Perricci che avevo conosciuto per un altro lavoro. E invece mi hanno assegnato come amico – ora leggo… ecco “partner” – un ragazzo che non conoscevo. Ma tanto, mi sa che era tutta una finta. Il corso è finito e il bar non lo abbiamo aperto. Però se lo dovessi aprire saprei prendere le prenotazioni.
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