Quest’anno la nuova sala delle conferenze stampa della Mostra del Cinema di Venezia è stata inaugurata anche da un evento notevole: un attore ha risposto alle domande dei giornalisti con la lingua dei segni, tradotta in simultanea. Sunada Atom infatti è sordo, ma questo non gli ha impedito di accompagnare in ogni attività promozionale — dagli incontri con la stampa, al passaggio sul tappeto rosso e fino in Sala Grande — il film Love Life, diretto da Kōji Fukada, in cui ha uno dei ruoli principali. Un attore che, con la sua interpretazione, ha cercato di fornire un quadro molto realistico e credibile della cultura e delle modalità di interazione sociale dei sordi.
I due personaggi principali sono Taeko e Jirō, sposati da poco; Taeko aveva avuto un figlio dal precedente matrimonio, ma il primo marito li aveva abbandonati all’improvviso. Jirō si affeziona molto al figlio di Taeko e gli fa volentieri da padre. Sono i genitori di lui a non essere contenti del matrimonio: non perché non apprezzino Taeko, ma perché desiderano un nipote “vero” e non adottato, perciò avrebbero preferito che il figlio non sposasse una donna con un passato così ingombrante. In una delle prime scene, madre e figlio dialogano tra loro nella lingua dei segni, per non farsi sentire da Jirō. Dato che entrambi sono capaci di usare la voce, intuiamo che probabilmente usavano questo linguaggio con il padre quando era ancora lì con loro.
Sarà un evento tragico e inaspettato a riportare Park, l’ex marito sordo, nella vita di Taeko. Il momento di dolore che colpisce tutti è anche un momento di pausa, che spinge i protagonisti a voltarsi indietro, a ragionare sulle scelte passate, a confrontarsi con chi faceva parte della propria vita precedente e in fondo non ha mai smesso di farne parte — anche Jirō ha di nuovo a che fare con la ex fidanzata, con cui non ha mai potuto troncare i contatti perché lavorano nella stessa azienda. Per Taeko il rapporto con l’ex marito è anche una questione di solidarietà irrinunciabile: non sono molti, in Giappone, a conoscere la lingua dei segni coreana, perciò il suo ruolo di interprete è fondamentale, ma ovviamente crea anche inedite tensioni col nuovo marito.
Fukada nel suo cinema inserisce sempre elementi di tragedia per mettere alla prova i suoi personaggi: evidentemente, è nella tragicità inattesa che il regista trova gli snodi delle esistenze che gli interessa raccontare. Non lo fa mai con sadismo: cerca di accompagnare i suoi personaggi nel loro percorso di vita che sembrava tranquillo e in discesa, prima di trovare buche, dossi, salite impervie, che da lontano non era possibile (pre)vedere. Così si prova grande dolore — per fortuna mai troppo gratuito — ma anche un’infinita tenerezza. È un film che costringe a scavarsi dentro, sperando di avere colto qualcosa di buono e bello anche laddove si rischia di perdere tutto.
Presentato a Venezia, il film è nelle sale già dal 6 settembre 2022.
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