Appena qualche settimana prima dell’anteprima mondiale di Houria, film algerino scelto per il nuovo concorso Progressive Cinema della 17ª Festa del Cinema di Roma, Troy Kotsur ha annunciato di esserne diventato uno dei produttori esecutivi. Kotsur, vincitore di un Oscar per il suo ruolo di capofamiglia sordo in CODA, ha dichiarato che nell’opera seconda di Mounia Meddour ha riscontrato una rappresentazione autentica e genuina dei sordi e in generale delle persone con disabilità. Inoltre è rimasto colpito soprattutto da uno degli elementi più significativi della trama: la maniera in cui il linguaggio dei segni diventa uno strumento di espressione artistica.
Houria è il nome della protagonista (Lyna Khoudri), giovane ballerina che una notte subisce un brutale tentativo di rapina: le conseguenze sono gravi per il suo corpo e la sua mente. Si frattura una caviglia e sebbene possa guarire, dovrà necessariamente rinunciare al sogno di una carriera da ballerina professionista; inoltre, a causa del trauma psicologico, smette di parlare. Durante la riabilitazione, conosce un gruppo di donne che, per vari motivi (autismo, traumi passati, problemi fisiologici), non parlano e comunicano tra loro con la lingua dei segni: anche Houria si lascerà includere, convinta dalla vitalità di un gruppo di persone che ha sofferto e soffre come lei ma ha trovato conforto nello stare insieme e nell’aiutarsi.
Dopo avere scoperto che è una danzatrice, le sue nuove amiche convincono Houria a insegnar loro a ballare assieme: la straordinaria idea della ragazza sarà di usare il linguaggio dei segni come base per la sua coreografia, in cui includere un messaggio di speranza dopo tanto dolore accumulato nel corso dei mesi. Se spesso si ritiene che la forza della mente possa aiutare a sopportare i tormenti del corpo, questo film molto emozionante ribalta il concetto: si può usare il corpo, in questo caso con i movimenti della danza, per guarire le ferite dell’anima.
Ci sono altre ferite aperte, nel corpo di una società ancora sofferente: l’Algeria continua a fare i conti con l’epoca della guerra civile, Houria stessa ne è doppiamente vittima per come ha perso il padre e perché il suo aggressore è un ex terrorista ben noto che la polizia connivente decide di non perseguire. Alcuni le suggeriscono di scappare, altri ci hanno già provato: Houria non scappa, non risponde con la voce che non usa più, lo fa con la forza del suo carattere e la fiducia nel potere salvifico dell’arte.
Questo articolo è tratto dalla
Newsletter n. 6 – Sguardo rivoluzionario
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