Quando il nostro coordinatore internazionale, Raul Izquierdo Garcia, al termine del suo discorso, ha salutato il Papa dicendogli che, a nome delle comunità di tutto il mondo, lo abbracciava «come solo i nostri ragazzi con disabilità mentale sanno fare», Bergoglio sapeva già tutto. Era già stato abbracciato (come vedete in foto) da Antonio che per un pelo non passava alla storia facendolo cadere. Mentre noi amici eravamo ingessati dall’emozione e intimiditi da affreschi, velluti e uniformi, ancora una volta i ragazzi ci hanno indicato il cuore dell’evento: abbracciare il Papa. E il Papa ha abbracciato noi: Antonio, Gianni, Franco e tutti gli altri.

Ha dato l’impressione di voler bene davvero a Fede e Luce e, proprio come accade nelle nostre comunità, ha trasmesso questa impressione molto più con i gesti e con i sorrisi che con le parole. Si è avvicinato prima e dopo il suo discorso a Marie-Hélène Mathieu, le ha stretto forte le mani e le ha accarezzato il capo più volte. E tutti noi abbiamo pensato che era «la carezza del Papa» a tutti gli uomini e le donne che hanno fatto la storia di Fede e Luce nel mondo.

Il Papa ha ricordato le origini del movimento nel suo discorso, richiamando il pellegrinaggio a Lourdes nel 1971. Non ha citato per nome nessuno dei presenti a quel pellegrinaggio, a voler rimarcare che il movimento è più grande di noi che ne facciamo parte e appartiene allo Spirito Santo, che «ha suggerito la nascita di qualcosa che nessuno aveva previsto». Non era previsto neppure che modificassimo l’intoccabile “canto della comunità” ma don Marco Bove, il nostro assistente spirituale internazionale, dopo le strofe «son io» e «sei tu a far comunità», ha inserito «è il Papa a far comunità» e il canto è partito appena il Pontefice ha fatto ingresso in sala. Cantavamo forte con i ragazzi che tentavano, lì per lì, di insegnare i gesti a Bergoglio. Poi hanno rinunciato ma credo che lui si sia divertito comunque.

In sala eravamo 59: un numero grande per le udienze private del Papa ma piccolo per il desiderio che c’era di consentire a tutti di vivere quel momento. Questo non è stato possibile e anzi l’equipe internazionale, a cui l’invito del Vaticano in occasione dei 50 anni di Fede e Luce era strettamente rivolto, ha tentato in ogni modo di allargare le maglie del protocollo ed è riuscita, così, a inserire i coordinatori delle tre province italiane e un gruppo, preso dalle comunità di Roma e dintorni, in modo da rappresentare tutte le componenti delle nostre comunità.

«Vi confermo in questo vostro impegno essere, nelle tempeste che le persone e le famiglie vivono, una piccola barca su cui tutti possano trovare posto, nella certezza che su quella stessa barca c’è il Signore Gesù» (Papa Francesco)

«Fede e Luce è un tesoro che non si scopre al primo sguardo, ma richiede incontro, vicinanza e amicizia», ha detto Raul. E in questa amicizia con le persone con disabilità mentale «impariamo anche a conoscere le nostre disabilità, molte e variegate, e ad accettarle meglio». Insomma, Raul è andato dal Papa e gli ha detto con chiarezza: «Siamo fragili, Fede e Luce è fragile e piccola». E il Papa non se ne è dispiaciuto affatto, anzi ha ripetuto più volte che la «piccolezza» è esattamente la nostra essenza. Ma piccolezza non vuol dire nascondimento, «non si accende una lampada per metterla sotto un secchio». Francesco ci ha spronato a non chiuderci nelle comunità, ad essere lievito, a portare la nostra esperienza nelle parrocchie e nei quartieri e a testimoniare la scelta di Dio per gli ultimi, i piccoli, gli esclusi. Cos’è la piccolezza, allora? È la capacità di riconoscere la bellezza di ciascuno e saperla indicare al mondo: alle famiglie ferite dalla nascita di un figlio con disabilità, a chi vive nel culto dell’efficienza, a chi aderisce al mito della normalità.

A proposito di normalità, all’aitante incaricato del servizio d’ordine nella sala in cui si svolgeva l’udienza non dev’essere sembrato normale che fossimo tutti in piedi verso la fine dell’udienza, come si fa allo stadio negli ultimi minuti della partita, per capire cosa dicesse don Marco al Papa, cosa dicesse Bergoglio a Marie-Hélène. Insomma, tutti in piedi. E lui, ignaro del livello medio di decibel nei nostri incontri in comunità, si sbracciava per far sedere tutti. Finché gli si è avvicinata una nostra ragazza, gli ha chiesto il numero di telefono e lui si è allontanato con una scusa, avendo ormai realizzato definitivamente che poteva “sciallare” e rilassarsi. Insomma, una bella mattinata. Non certo il primo incontro di Fede e Luce con un Papa – anzi Marie-Hélène ha ricordato poi all’assemblea nazionale quanto fosse stato affettuoso con noi Paolo VI che forse nella nostra “piccolezza” vedeva la spada con cui tagliare i nodi gordiani dell’eccesso di teologismo e di costruzione ideologica nella vita della Chiesa.

«Vi confermo in questo vostro impegno – ha concluso Bergoglio, con semplicità, ma anche sapendo di affidarci un compito non facile –: essere, nelle tempeste che le persone e le famiglie vivono, una piccola barca su cui tutti possano trovare posto, nella certezza che su quella stessa barca c’è il Signore Gesù». È l’impegno che ci portiamo per i prossimi 50 anni e per il tempo che lo Spirito vorrà concederci.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 156, 2021

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È nato qualcosa che nessuno aveva previsto ultima modifica: 2022-03-30T07:49:04+00:00 da Vito Giannulo

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