«Moltissime persone pensano che gli autistici siano incapaci di fare certe cose ma invece questo progetto dimostra che è l’esatto opposto e, come dico sempre, noi autistici non ci arrenderemo mai!». Elisa parla con voce forte e sicura: è finita un’altra lunga giornata di cammino, tappa di un viaggio che volge al termine. Intorno a un fuoco che illumina una campagna altrimenti buia, insieme a Elisa, ognuna delle circa venticinque persone che formano un variegato gruppo contribuisce a tener viva la fiamma.
È una delle scene della parte finale del bel documentario Sul sentiero blu, con la regia di Gabriele Vacis e la produzione di Michele Fornasero per Indyca Film, il cui obiettivo, riuscito, è stato quello di documentare per il grande pubblico il progetto Con-tatto in collaborazione con la Asl di Torino.
Uscito in sala il 28 febbraio e proiettato il 1 e 2 marzo scorso al cinema Farnese di Roma, le proiezioni ora continuano su richiesta di scuole e associazioni (è necessario fare riferimento al distributore Wanted). Il 2 aprile, in occasione della giornata mondiale dell’autismo, verrà trasmesso in seconda serata su Tv2000.
In occasione di quella prima proiezione Luca Rivoira, rappresentante del distretto 2031 del Rotary Club piemontese (partner primario del progetto), ha spiegato che l’idea era nata al termine di un cammino a Santiago e dalla proposta di realizzarlo anche con chi vivesse una disabilità. E subito l’idea aveva preso corpo, sostituendone però la meta: meglio la via Francigena verso Roma per incontrare il papa alla fine del viaggio.
Una volta delineati i contorni della proposta, questa era stata sottoposta al neuropsichiatra Roberto Keller (direttore del Centro Regionale per i Disturbi dello spettro dell’Autismo in età adulta della ASL Città di Torino) che ne ha colto potenzialità tali da pensare subito a una data possibile per la partenza. Secondo Keller, infatti, il progetto poteva rappresentare un importante momento non solo di abilitazione sociale e di attività motoria per il gruppo scelto di giovani autistici, ma anche un modo prezioso per combattere lo stigma legato alla condizione dello spettro.
«Ho voluto portare nella vita reale delle tecniche di abilitazione sociale che si fanno in ambulatorio» spiega Keller, che ha potuto constatare come le tecniche venissero più facilmente metabolizzate nel continuo rinforzo dato dagli operatori e dal gruppo stesso. Riuscire infatti a dare maggiore concretezza, prontezza e ripetizione a quella serie di esercizi di abilitazione («una specie di cassetta degli attrezzi, un manuale delle istruzioni» la descrive lo psichiatra) che normalmente si svolgono in un contesto ambulatoriale dai confini meno incerti ma pure meno realistici, ha rappresentato un approccio molto efficace. Anche lo stare insieme per dieci giorni, 24 ore su 24, senza i familiari a far da cuscinetto, ha permesso di scoprire aspetti nuovi di ciascuno dei ragazzi. E di comprendere meglio la necessità di alcuni comportamenti.
Nel film, dunque, vediamo documentata l’impresa di Giuseppe Catalano, Elisa Del Signore, Simone Delle Rose, Francesco Faiella, Gianmarco Fioretti, Maurizio Girodo, Mickael Leveque, Giuseppe Mosca, Oliviero Panelli, Alice Secchi, Daniele Tarar, Matthias Taverna, tutti tra i 18 e i 35 anni: 200 km a piedi in 10 giorni da Proceno (la porta del Lazio alla via Francigena) fino a Roma dove (scopriremo solo nei titoli di coda) sarà Papa Francesco a dare sigillo accogliente all’arrivo nella Capitale. Un cammino che, sappiamo, ha avuto un’accurata preparazione, allungata anche dalla pandemia, nei 18 mesi precedenti in cui l’intero gruppo si è allenato in sessioni di progressiva difficoltà, ogni sabato mattina.
Uno degli intenti del film era quello di smontare alcuni facili pregiudizi sulla persona autistica, considerata asociale, anaffettiva, che preferisce stare da sola. Il produttore Fornasero ammette che, effettivamente, «questa è stata una grande occasione per noi per superare quei pensieri che davamo per scontati». Sul sentiero blu aiuta a muovere anche il nostro punto di vista intorno all’autismo: l’avvicinare e allontanarsi della macchina da presa è capace di cogliere la forza del gruppo in cammino in un paesaggio che è cornice davvero riconciliante, o di oltrepassare quel limite nell’accostarsi all’altro che solo una macchina da presa consente. Vicinanza che però racconta molto bene come tanti stereotipi dipingano l’autismo come non sempre è.
Certo abbiamo difronte un gruppo di persone con capacità verbali e discrete autonomie personali: con l’autismo abbiamo imparato l’importanza di non generalizzare le sue, potenzialmente infinite, sfumature. Rimane il fatto che si tratta di una condizione poco riconoscibile a prima vista, e che spesso causa disorientamento in chi ne incontra solo le stranezze comportamentali. Stereotipie o stranezze soprattutto dovute al fatto che l’autismo lede alcuni automatismi relazionali che rendono difficile adattarsi all’ambiente circostante, soprattutto quando nuovo e inaspettato. Ma, ricorda chiaramente Keller, «nessun tentativo di guarire, dall’autismo non si guarisce»: quel che è stato immaginato, realizzato e raccontato così bene nel film è una ricerca per «abilitare alla vita sociale, per adattarsi – non per normalizzare – e migliorare la qualità della vita».
Un cammino come questo, infatti, ha significato scoprire ogni giorno e ogni momento una nuova prospettiva; ha significato la necessità di adattarsi a condizioni obiettivamente ed emotivamente difficili (le odiate salite per Daniele, ad esempio, o lo sconforto profondo di Giuseppe) o di accettare piccoli cambiamenti di grande portata (imparare a mangiare la frittata nel panino perché non c’era altro o dormire in un letto nuovo ogni sera) soprattutto agli occhi di un genitore; ha però significato soprattutto scoprire la forza del gruppo per muovere questi cambiamenti: se durante le sessioni di allenamento, racconta Keller, «ognuno camminava per sé… dodici persone che non comunicavano, stando insieme sono cambiate le relazioni» ed è emersa «una comunità viaggiante».
Se nelle sessioni di allenamento i ragazzi si erano anche abituati agli operatori che li avrebbero seguiti con la macchina da presa, colpisce comunque come siano rimasti sinceri attori di sé stessi con la loro immediata autenticità innata, il loro senso di stare nel qui ed ora, nella verità, a godere della bellezza del mondo, del vento, come per Elisa. O, come per Francesco, a non nascondersi proprio mentre contempla Elisa, perfettamente perso e presente allo stesso tempo. E se (come racconta Fornasero) viene il dubbio di chiedersi se negli esercizi di abilità sociali praticamente non si stia insegnando loro a recitare, risponde Keller che «in fondo è proprio così, come facciamo anche noi in tante situazioni differenti: non andremmo, ad esempio, a lavoro in costume da bagno».
Le dinamiche riprese e montate nel film suggeriscono l’intensità di emozioni e sentimenti che chi non conosce la condizione autistica rischia di dare per secondari o assenti. Il regista Vacis confida che da questa esperienza porterà con sé la capacità di chi vive nell’autismo di intravedere prospettive dove noi normalmente non ne vediamo affatto: speriamo che anche questo film, senz’altro in grado di interessare e attirare un pubblico selezionato, possa stimolare e suggerire a tanti quanto di «umano, bello e divertente» hanno sperimentato, insieme, questi moderni pellegrini, in una prospettiva ancora troppo poco realmente immaginata.
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