Da circa tre anni ho scelto di vivere presso le Piccole sorelle dei poveri in una struttura alloggio per persone anziane non autonome, restando così vicina alle persone malate e con disabilità che sono state il mio universo per quasi tutta la vita. In fondo al giardino di casa, si trova una grotta di Lourdes; ci vado spesso, ci andiamo tutti spesso. Si è attirati da Lourdes. Compirò 92 anni: la vita è davanti a me. Ho avuto un periodo difficile, con un lungo confinamento ma, accendendo il mio mappamondo, mi ha aiutato molto riposarmi un poco con le comunità Fede e Luce, affidarle alla tenerezza di Gesù e di Maria. Da molto tempo, non ho più incarichi ufficiali nelle strutture del movimento. Però resto vicina con il cuore.
È quasi incredibile ciò che abbiamo vissuto 50 anni fa. Oggi voglio essere semplicemente testimone stupita della nascita del nostro movimento fin dai suoi primi passi. Lo ripeto ancora una volta: è veramente l’opera del Signore, una meraviglia ai nostri occhi. Questa certezza mi è stata confermata da un cappellano del santuario, secondo cui a Lourdes ci sono stati due miracoli che considera i più grandi.
Il primo, quello di Bernadette. Una ragazzina di 14 anni, la più miserevole di tutta la regione, una “buona a nulla”. La Vergine Maria l’ha scelta, lei così debole ma con il cuore così aperto… Quando al catechismo le si chiedeva chi fosse Dio, lei non lo sapeva e rispondeva: «Dio è amore». Una risposta ispirata, evidentemente. È sull’unica testimonianza di questa piccola analfabeta – e una sola, in genere, non la si considera valida – che milioni di pellegrini vanno a Lourdes per rinnovarsi, convertirsi.
Il secondo è quello di Fede e Luce. Il miracolo delle persone con handicap mentale, le loro famiglie, i loro amici. Un tempo esclusi da Lourdes e marginalizzati nella Chiesa, il pellegrinaggio fu un’immensa scoperta, fu il crollo di un muro di ignoranza e di pregiudizi: non solo non erano intrusi, ma sarebbero diventati il cuore della Chiesa. Tra loro c’erano i veri protagonisti: Loïc e Thaddée, nati con un handicap mentale molto profondo e i loro genitori, Gerard e Camille. Nel 1967 erano stati rifiutati a un pellegrinaggio diocesano («Loro non capiscono nulla di ciò che succede, disturberanno la devozione degli altri pellegrini») e la famiglia aveva deciso di partire per Lourdes in modo autonomo ma negli alberghi non c’era posto per figli come i loro. Un albergatore si lasciò impietosire ma a condizione che consumassero i pasti in camera. Nel santuario e in città, rimasero feriti dagli sguardi di pietà e di rimprovero («Quando si hanno dei figli così, si resta a casa propria»). Si erano già sentiti esclusi dalla Chiesa e ora anche da Lourdes. Poco tempo dopo, trovarono l’occasione per confidare a me e a Jean Vanier (*) la loro ribellione e il loro dolore. Emerse un’idea: perché non organizzare un pellegrinaggio soprattutto per persone come Loïc e Thaddée e per i loro genitori così provati? Un’ispirazione della Vergine stessa, ferita dal fatto che i suoi figli più cari, i più piccoli e i più fragili, non fossero accolti nel santuario?
Umanamente il progetto sembrava folle. Ci si confrontò con le persone vicine. Molti genitori erano favorevoli, addirittura entusiasti. Alcune persone esitarono. Altre furono restie o addirittura ostili, soprattutto fra i membri del clero. Noi però non volevamo decidere nulla senza l’accordo della Chiesa: tutto si mise in moto quando il vescovo responsabile della pastorale delle persone con handicap ci diede il via.
Tre anni di preparazione, un immenso cantiere in cui tutto doveva essere inventato, perché le persone con handicap mentale non avevano mai partecipato a un pellegrinaggio. La liturgia doveva essere adattata, la preparazione spirituale molto curata e ancora l’alloggio, la sicurezza, le misure sanitarie. L’idea fondamentale era che non sarebbe stato un pellegrinaggio vissuto individualmente, ma un pellegrinaggio di comunità. Non si sarebbe andati soli a Lourdes, ma avremmo costruito una comunità a misura d’uomo, circa 25 tra persone con handicap mentale, le loro famiglie e, soprattutto, gli amici. Un sacerdote, se possibile. Il desiderio era quello di evitare, a ogni costo, la solitudine vissuta da Camille e Gérard.
Venne realizzato un logo che traducesse in immagine lo spirito del pellegrinaggio e fu Meb, un talentuoso pittore affetto da trisomia 21, a farlo: ci presentò il disegno di una barca con dodici piccoli personaggi (Meb non sapeva contare). «Gesù – ci disse – dorme in fondo alla barca. In mezzo a nuvole minacciose spuntano i raggi luminosi del sole». Aveva apposto una frase:«Le nubi si sono aperte e la tua luce, Signore, è venuta fino a noi». Meb aveva capito tutto.
Eccoci, infine, giunti al giorno fatidico. Il venerdì santo alle 15, di fronte alla grotta, si riunirono 12.000 pellegrini; 4.000 di loro, provenienti da 15 Paesi, avevano un handicap mentale e per la prima volta affrontavano un pellegrinaggio. Il vescovo di Lourdes era là per accoglierci con tutta la sua benevolenza: «Un avvenimento storico, mai vissuto prima di oggi, nella Chiesa e neppure nel mondo». Le sue parole ci commossero, ci unirono. Ed ecco che il canto Amici cantiamo la nostra gioia, creato appositamente per il pellegrinaggio, esplose nonostante fosse previsto per la vigilia di Pasqua. Lo Spirito Santo sembrava dire che là dove c’era sofferenza, se c’era amore, la gioia era possibile.
Per quattro giorni gli Alleluia avrebbero sgorgato dal mattino alla sera per dirsi buongiorno, grazie, scusa. Fummo testimoni dei tanti miracoli dei cuori che avevamo chiesto. E fummo anche testimoni della gioia delle persone con handicap mentale. A Lourdes scoprirono di sentirsi a casa, con Maria loro mamma che li accoglieva. Grazie a lei, si sentivano a casa loro, a casa loro nella Chiesa. Questa grazia fa parte del tesoro di Lourdes, del tesoro di Fede e Luce per tutta la Chiesa e per il mondo intero. Sono il cuore della Chiesa. È tutto il Vangelo. Dio che sceglie il debole per confondere i forti. Dio che nasconde i suoi misteri ai saggi e ai sapienti e li rivela ai piccoli. Dio che arriva a identificarsi in loro: «Tutto ciò che voi fate a uno di questi piccoli, voi lo avete fatto a me». Lunedì santo invitammo i responsabili di comunità a raggiungerci per i ringraziamenti, ma non ne volevano. Un pellegrino, padre di famiglia, si alzò. «Vogliamo dirvi una cosa, e non solo noi, ma tutti i pellegrini: non vogliamo che Fede e Luce si fermi. Abbiamo vissuto troppe cose importanti insieme, le comunità non vogliono separarsi, noi vogliamo che Fede e Luce prosegua». Cosa rispondere? «Andate e fate tutto ciò che lo Spirito Santo vi ispirerà, riunitevi in comunità, e poi vedremo. Ci si ritrova fra qualche mese, si vedrà cosa è successo». Il pellegrinaggio era terminato, ma era nato il movimento Fede e Luce.
(tratto dal video celebrativo per la Pasqua 2021)
(*) ndr: Inchieste promosse da L’Arca internazionale hanno accertato nel 2020 gravi responsabilità di Jean Vanier e di padre Thomas Philippe nei confronti di diverse donne. Ne è seguita la condanna senza riserve di queste azioni «in totale contraddizione con i valori che Vanier affermava» e con «i principi fondamentali delle comunità».
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 156, 2021
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