È una calda sera di inizio giugno. Sto riordinando le ultime cose prima di andare a coricarmi, al termine di una lunga giornata. Domani, come al solito, ci saranno tante cose cui pensare: i lavori che devono cominciare in uno degli edifici del “Carro”, la contemporanea partenza di tutta la casa-famiglia per un soggiorno al mare, i protocolli anti-Covid da aggiornare, … e le tante incombenze quotidiane, famigliari o comunitarie, che riempiono la mia vita di ogni giorno.
All’improvviso, un messaggio sul telefono: “Roberto è volato in cielo….” è sua sorella Mariangela che mi scrive! Il respiro si ferma per un attimo, tanto la notizia giunge imprevista e dolorosa. Mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime, in un istante torno all’inizio del 1978.
Ho appena iniziato gli studi di Medicina (mi vedo psichiatra, Franco Basaglia è il mio faro), da due anni mi sono immerso nell’esperienza della neonata Fede e Luce, sulla scia dello svolgimento dei primi campi estivi ad Alfedena stiamo sperimentando le domeniche di “Casetta” all’Istituto Nazareth a Roma, passando intere giornate insieme con i nostri amici disabili che hanno più necessità di svagarsi fuori casa, dando un po’ di tempo ai loro genitori. C’è un ragazzino di neanche tredici anni, molto vispo e simpatico, che parla solo con poche e singole parole, cammina male e ha un braccio inutilizzabile, e pare molto chiuso in un suo mondo personale… Imparo presto le sue sorprendenti abilità: Roberto, questo il suo nome, ha una capacità incredibile di divertirsi facendo dispetti con il suo braccio “buono”, che con una velocità supersonica fa giungere addosso a qualsiasi superficie (umana o materiale) per creare più sconquasso possibile! Inoltre, sembra avere una “predilezione” per le persone più piccole o fragili di lui, come bersagli del suo divertimento, cosa che lo rende ancor meno facilmente avvicinabile.
Non so cosa sia ad attirarmi verso di lui. Probabilmente il mistero esercitato dalla sua mente, la voglia e l’ambizione di entrarci dentro, stabilire una connessione che vada oltre la necessità del “controllo”. Comincio a frequentarlo, ad andare a casa sua. La prima volta che entro in casa, posso apprezzare alcuni particolari: le prese e gli interruttori divelti dal muro, le tappezzerie danneggiate, alcuni mobili malandati….e capisco la fatica che la sua famiglia vive ogni giorno. Incredibile famiglia: padre militare siciliano, madre veneziana, fratello e sorella più grandi e un fratellino, tutti uno più dolce dell’altro, pieni di amore per il loro figlio e fratello vivace, con un senso di accettazione e di dignità che lascia a dir poco sbalorditi, soprattutto pensando a quanto siano soli nel reggere questo peso. Vedo la pazienza, l’attenzione a contrariarlo il meno possibile, la preoccupazione quando nei momenti peggiori rivolge le sue “cure” verso se stesso, mordendosi a sangue e sbattendosi di qua e di là…
Nel corso di quell’anno, con altri giovani amici cominciamo a organizzarci per farlo uscire, portarlo in piscina ogni settimana, sempre almeno in tre… il mio rapporto con lui si approfondisce, cominciamo a conoscerci, inizio a cogliere i suoi stati d’animo e soprattutto ad anticipare i segnali di disagio, cosa che mi consente di sentirmi sempre più tranquillo e a mio agio anche quando comincio a restare da solo con lui. Nel frattempo sta crescendo, sta diventando un ragazzo, rispetto all’anno prima è diventato molto più grosso… ma ora il rapporto è alla pari, sia fisicamente che emotivamente. Cominciamo a portarlo ai campi di Fede e Luce, sono le prime volte che esce da solo fuori dalla sua famiglia, e che i suoi genitori passano dei giorni di stacco, da quando lui è nato.
Ormai sono quasi una persona di famiglia. Un bel giorno ritengo, forse in modo azzardato, che io e Roberto siamo pronti per un altro passo: viaggiare da soli noi due in macchina, per andare alla “Casetta”, senza altri accompagnatori. Dopo averci pensato a lungo, decido che Roberto deve sedere sul sedile davanti, a fianco a me, dove posso osservarlo con continuità ed essere quindi più pronto ad ogni imprevisto di comportamento. Certo, il braccio buono è proprio quello dal mio lato…. ma andrò tranquillo e starò molto attento. Durante il viaggio, sono molto in tensione. A un certo punto, mentre sto rallentando per fermarmi ad un semaforo, vedo il braccio di Roberto che si muove verso di me… inchiodo aspettando il colpo. La mano di Roberto invece plana dolcemente sul freno a mano e lo tira, dicendo: “semaforo…”! Il mio sollievo e la mia sorpresa hanno la stessa intensità. Quel giorno scopro forse una volta per tutte la sua intelligenza e la sua “presenza”, ingabbiate da un’angoscia che lo rende a momenti distruttivo verso ciò che ha intorno.
In quel giorno, in quei mesi, nasce probabilmente la mia prima vocazione: che il mio futuro avrà Roberto, e altri come lui, al centro delle mie scelte umane e professionali.
Negli anni successivi, il rapporto tra noi è sempre più stretto, soprattutto quello con la sua famiglia. Lina, la mamma, condivide i suoi racconti, le sue fatiche, le angosce, le mancanze, ma anche le speranze, le fantasie, i sogni per il futuro di Roberto. Che nel frattempo ha cominciato a frequentare una Cooperativa del territorio, con l’assistenza domiciliare, e passa fuori casa almeno parte della giornata. Questa esperienza, insieme a quella che sta vivendo da parecchi anni con Fede e Luce, lo sta abituando pian piano a comportamenti più adeguati, almeno quando sta con persone che lo conoscono, di cui di fida, e con cui può entrare in sintonia, anche nel rispettare alcune ritualità che lo tranquillizzano.
Anche la mia vita sta cambiando: la mia personale ricerca di senso mi sta portando a scelte impreviste e radicali, fino a scegliere di vivere in comunità con la fondazione, nel 1990, della Comunità “Il Carro”, dove risiederò con altre persone, anche con gravi disabilità, per dar vita a una casa-famiglia. Forse è un cerchio che comincia a chiudersi: con Lina, con Mariangela Bertolini (fondatrice di Fede e Luce), abbiamo parlato e sognato tante volte di vedere case-famiglia con lo spirito che si vive a Fede e Luce… quello che sembrava un sogno comincia a farsi realtà, minuscola, ma pur sempre reale. Nella mia visione, nel profondo del mio cuore, c’è sempre la possibilità che un giorno diventi anche la casa di Roberto, e so che anche la sua mamma coltiva questa speranza, che le dà una luce per il futuro. Che ultimamente si è molto rabbuiato: Carlo, il papà di Roberto, si è ammalato gravemente e comincia a fare dentro e fuori dall’ospedale. Con Ivana, la mia fidanzata nonché compagna al Carro, ci organizziamo per far trascorrere qualche giorno a Roberto in comunità, non esistendo in tutta Roma strutture che possano garantire un’accoglienza Sos (il Carro nel giro di pochi anni ne farà almeno una decina). E’ proprio durante un soggiorno di Roberto al Carro che il suo papà muore circondato dalla sua famiglia.
Nel 1994, quando Ivana ed io ci sposiamo, Lina è mia testimone di nozze, ormai sono quasi un figlio per lei… nel frattempo, dopo la morte del padre, e nell’impossibilità logistica di accoglierlo stabilmente al Carro, Roberto è stato fortunatamente inserito in un’esperienza residenziale sperimentale della sua Asl. Intanto anche il Carro evolve e si trasferisce nella sua nuova sede; nel progetto uno dei moduli di accoglienza dovrà essere destinato proprio a persone con le necessità di Roberto, che ancora non dispongono di posti dove andare a vivere oltre la famiglia. Chiaramente, dopo alcuni anni nella sua nuova sistemazione, non è il caso di pensare a un nuovo cambiamento per Roberto, anche se la sua mamma continua a pensare che il posto giusto per lui sarebbe al “Carro”.
Gli anni sono passati. Negli ultimi anni non ho avuto più possibilità di incontrare Roberto, il contatto l’ho avuto attraverso la sua mamma e i suoi fratelli, e attraverso qualche fotografia. Poi anche Lina è mancata qualche anno fa. Ogni tanto ho continuato a ricevere qualche notizia o foto di Roberto dai suoi fratelli. Un paio di anni fa aveva avuto un ricovero in ospedale, dal quale era rientrato con condizioni di invalidità ancora più serie. Ma ancora non sapevo che si fosse nuovamente aggravato.
Carissimo Roberto, il vuoto che lasci nel mio cuore è pari al “pieno” che hai dato alla mia vita dandole un segno indelebile e bellissimo, del quale ogni giorno ringrazio Dio. Così come lo ringrazio per la tua dolcissima mamma e per tutte le mamme “speciali” che sono state e sono il faro del Carro, nato dal desiderio di supportare e alleviare le ansie e preoccupazioni del “dopo di noi”, tanto più serie quanto più i figli necessitano di cura e attenzione particolari. E che mi hanno consentito di farmi in qualche modo fratello, affidandomi il privilegio di camminare vicino ai loro amatissimi figli.
Ciao Roberto, vivi la tua nuova vita insieme a mamma e papà, felice e libero. Grazie, amico e fratello per sempre.
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