«Ho pensato – racconta Eufemia – che ti devono bastonare veramente forte perché qualcuno si accorga di te. Non basta essere un po’ in ansia per i propri figli, la depressione non è contemplata, non è sufficiente alzarsi di cattivo umore per sperare che si fermi qualche samaritano». Eufemia Capobianco Giuliani, 74 anni, è stata uno degli attori del mimo della parabola del Buon Samaritano che ha illustrato il Vangelo letto durante la celebrazione online della Giornata mondiale della disabilità il 3 dicembre scorso. Ricorderete il mega-convegno sul web, voluto dalla Cei, al quale hanno partecipato in Italia e all’estero migliaia di persone. Quello di preparare il mimo era stato uno dei compiti assegnati dagli organizzatori a Fede e Luce. Bisognava trovare un gruppo di persone che, in quanto conviventi, potessero recitare senza mascherina.
La provincia di Fede e Luce, Mari e Vulcani (che raggruppa una ventina di comunità nelle regioni del Sud Italia), ha pensato a una famiglia di Monopoli, in provincia di Bari, i Giuliani: Eufemia, la mamma, Cosimo, il papà e i tre figli, tutti portatori di disabilità psichiche, Antonio (42 anni), Daniela (44), e Manila (46). Eufemia ha la dote rara dell’ironia. Per dono divino o per necessità o per entrambe le cose, ha sviluppato il talento di prendere con leggerezza una vita difficile almeno quanto il viaggio dell’uomo «che scendeva da Gerusalemme a Gerico. Quando ho visto Antonio a terra bastonato dal padre – dice Eufemia – ho pensato che di samaritani noi ne abbiamo incontrati tanti, nel momento in cui le botte erano così forti da lasciarci tramortiti al suolo. Come ho detto, se non stai male veramente, tu non chiedi aiuto e gli altri non si accorgono di te. Non ne faccio una colpa a nessuno. È così, è la vita. Ma quando arrivano i briganti, accade proprio come nel Vangelo. All’inizio incontri la gente che ti rifiuta e i rifiuti ti bloccano lì per terra. Non hai né forza, né voglia di alzarti. Poi arriva il samaritano».
Le chiedo chi è questo benedetto samaritano. Lei ci pensa a lungo, ogni tanto sorride. Proprio perché insisto, per farmi contento e anche perché l’ora di cena sta arrivando, fa il nome di un suo cognato, ex dirigente Fiat a Torino, sempre molto generoso con loro. Ma si capisce che una risposta – la risposta! – non le viene in mente. Allora mi racconta una storia.
Cinque anni prima di sposarsi, quando era già fidanzata con Cosimo, andò a Lourdes come dama di carità. Quell’esperienza la scombussolò al punto che, tornata a casa, voleva mollare tutto, soprattutto il fidanzato. La sua missione era aiutare quegli ammalati. «Poi è andata diversamente – sorride Eufemia – la missione l’ho avuta in casa. No, non c’è un solo samaritano. Ce ne sono stati tanti. Alcuni hanno fatto cose molto concrete per noi (come l’Unitalsi, altri come Fede e Luce che c’è sempre stata e sempre ci sarà) sono stati una specie di giubbotto di salvataggio, da gonfiare all’occorrenza. Insomma – e qui Eufemia si infervora – io non ti so dire chi è il samaritano. Ma vedo chiaramente che in questo mimo c’è la mano di un regista. La sai la frase di madre Teresa sulla matita? Io ci penso ogni giorno della mia vita. Ci pensavo quando volevo prendere una certa strada e mio marito o i miei figli o le circostanze me lo impedivano. Ci pensavo le mille volte che le cose non andavano come volevo io. “Sono una piccola matita nelle sue mani. La matita non ha nulla a che fare con tutto questo. La matita deve solo poter essere usata”. Quel mimo che abbiamo messo in scena – e i ragazzi alla fine sono stati contentissimi – mi ha ricordato la mia vita. Gli attori potevano essere quelli o altri, non importa, ma il regista aveva chiara la trama e dovevo fidarmi di lui».
Ora Eufemia abbassa la voce: «Per me sta arrivando il finale. Ma per i miei figli no. Sono ancora giovani. Perciò, caro regista, se non vuoi rovinare tutto il film, ti conviene pensare anche a loro quando noi non ci saremo. Questa matita si sta esaurendo e il segno che riesce a lasciare è sempre più sottile. Ora tocca a te!».
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 153, 2021
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