È molto difficile giudicare serenamente un film che è stato travolto dalle polemiche ancor prima di essere visto, basandosi su poche informazioni e sui trailer. L’accesa controversia ha riguardato il personaggio che dà il titolo al debutto alla regia della musicista Sia: Music, una ragazza con autismo che secondo i critici fornisce una rappresentazione del suo stato offensiva, falsa e pericolosa.
Music è interpretata dalla giovane Maddie Ziegler, che non ha nessuna forma di autismo; in questo caso, la polemica per non aver scelto un’attrice autistica è un po’ ingenerosa perché fingere di essere ciò che non si è rappresenta proprio il senso di essere attori. Pare che Sia non abbia trovato nessuna attrice adeguata al ruolo; la sua è una legittima scelta artistica che non dovrebbe essere considerata discriminante, anche se abbiamo esempi di registi che hanno fatto scelte opposte.
L’altra questione sollevata da più parti è che il personaggio abbia una forma abbastanza grave di autismo: perlopiù non verbale (con alcuni elementi di ecolalia perché ripete solo alcune frasi fisse), con una routine ben definita, numerosi tic e sembra persa nel suo mondo anche a causa delle grandi cuffie che tiene sempre in testa. Tra gli innumerevoli disturbi dello spettro autistico, ne è stato scelto uno “cinematografico”, cioè ben visibile e comprensibile agli spettatori: una scelta criticabile, forse, ma non campata in aria e che non inventa dal nulla una malattia. Molto più grave il fatto che venga considerato legittimo bloccare a terra con forza qualcuno che ha una crisi: anche se è un buon esempio del fatto che i protagonisti sono del tutto ignoranti su come trattare la condizione di Music, le sequenze sono così sbagliate e pericolose che la regista ha promesso di tagliarle.
Il problema principale, però, è che la giovane Music è essenzialmente il motore di una storia di cui poi non è davvero la protagonista ma un accessorio. Il personaggio principale è la sorella maggiore (Kate Hudson) che se ne dovrebbe prendere cura, quando Music resta sola, pur non essendo mai stata in grado di badare neppure a sé stessa, per l’alcolismo, la depressione, il fatto che si guadagni da vivere come piccola spacciatrice.
Il secondo personaggio rilevate è il vicino di casa africano che le aiuta; un africano che in realtà è Leslie Odom Jr., attore statunitense che imita un qualche accento africano: questo, però, non ha provocato alcuna polemica. Sono questi due personaggi ad affossare il film: lei ha innumerevoli problemi solo accennati ma gli aspetti peggiori vengono tenuti opportunamente fuori dallo schermo affinché possa risaltare il buono che c’è in lei; lui sembra quasi un santo troppo buono, gentile, generoso, altruista per questo mondo crudele; due stereotipi banalissimi e concepiti in maniera fastidiosa. Music, non potendo manifestare la sua personalità, serve solo a mettere in luce la loro bontà, innata o acquisita.
In effetti la principale ambizione di Sia è di provare a entrare nella mente di Music rappresentando i suoi pensieri come numeri musicali: un’idea, questa sì, parzialmente criticabile – è del tutto arbitrario provare a immaginare come ragioni la mente autistica basandosi sull’immaginazione dei normodotati – ma almeno è un tentativo di andare oltre l’apparenza per raccontare l’autismo in maniera originale e creativa nonché di dare al personaggio un qualche spessore. Col passare dei minuti, quando si capisce che la presenza di Music serve solo per raccontare la storia degli altri personaggi, anche i numeri musicali sembrano sempre meno sensati per dare sostanza alla narrazione e anche questa idea, purtroppo, si perde in una certa banalità.
Ci sono tanti motivi per criticare il film, quindi, ma la rappresentazione dell’autismo in sé non è affatto il più grave.
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