La miniera, nazionalizzata negli anni Sessanta, venne poi nuovamente privatizzata nel 1998 a opera dell’allora dittatore Alberto Fujimori: poiché all’epoca garantiva profitti per 60 milioni di $ all’anno, fu indetta un’asta dal valore base appunto di 60 milioni. E per 60 milioni e un dollaro, un’impresa mineraria fondata solo due settimane prima, la Volcan, si aggiudicò l’asta. El Tajo crebbe ancora, fino a ingoiare altre due chiese, l’ospedale, tre scuole e altre 8.000 case. La città, intanto, raggiunse il limite di oltre 80.000 abitanti, oppressa da un mostro che continuava a mangiare case, inquinare aria e acqua, e produrre tonnellate di oro, argento, rame, piombo e nichel: moli immense di metalli direttamente trasportate, grazie a una ferrovia diretta, al porto di Lima da cui veniva esportato. Assolutamente nulla di quanto custodito nelle terre di Cerro de Pasco restava in Perù, esattamente come ai tempi di Atahualpa.
Ora la città di Cerro de Pasco è il secondo capoluogo più povero di tutto il Perù: il cratere ha assunto dimensioni difficili da immaginare, El Tajo è lungo due chilometri, largo un chilometro e mezzo e profondo quasi mille metri. Una sorta di immane montagna rovesciata. «Per ogni tonnellata di roccia estratta, poco più di un grammo viene processato e 999,999 kg finiscono in scarti – dice Flaviano Bianchini, direttore dell’organizzazione Source International che opera nella città da oltre 10 anni – Tutti questi scarti negli anni sono stati accumulati ovunque, prima riempiendo letteralmente due laghi, che oggi hanno acque più acide di quelle delle batterie delle auto, poi saturando la città, fino a circondare addirittura l’ospedale da rifiuti minerari. D’estate da queste rocce si alzano nuvole di polveri tossiche, d’inverno la pioggia che percola tra gli accumuli scende nelle falde e inquina l’acqua di metalli pesanti che da lì raggiungono tutto l’ecosistema». Alla fine del processo, la meta ultima di questi metalli pesanti, dannosissimi per la salute umano, è l’organismo di bambini, donne e uomini delle comunità di Cerro. Si accumulano nei loro bronchi, colpiscono i loro organi.
Negli anni Source International ha raccolto migliaia di campioni, perché senza la “prova” delle analisi scientifiche è impossibile far valere anche i minimi diritti di queste persone, benché l’evidenza sia testimoniata quotidianamente dai fatti. «Abbiamo analizzato sangue e capelli di più di 400 bambini e, se fossero applicati gli standard dell’Oms, tutti e 400 andrebbero ricoverati di urgenza per la presenza di metalli pesanti nei loro organismi – denuncia Bianchini – Ovviamente molti di loro si ammalano di malattie direttamente legate a questo inquinamento: nella città ci sono più di 90 casi di leucemia infantile su 60.000 abitanti. La media dovrebbe essere di circa 80 per milione». Flaviano ricorda gli occhi e i nomi di tutte le vittime della strage di Cerro, e per loro che continua a combattere.
«Aveva solo 5 anni, quando Gerardo perse contro il mostro della leucemia: al momento della diagnosi il suo sangue aveva valori di piombo quindici volte più alti del limite di sicurezza stabilito dall’Oms. A 4 anni era stato ricoverato al hospital del niño a Lima, ma, purtroppo, la situazione era già compromessa». Una storia drammatica che portò la madre a incatenarsi con lui e altre donne alle porte del palazzo del Primo Ministro. Giorni dopo intervenne la polizia e nei tafferugli che ne seguirono lo stesso Gerardo fu colpito a manganellate fino a riportare tre costole fratturate. Da quel giorno le sue condizioni degenerarono irrimediabilmente, ma di questo atroce delitto nessuno rispose: nessuno fu mai incriminato. Oggi il piccolo riposa al cimitero di Paragsha, nella parte alta di Cerro de Pasco.
«Fare una passeggiata tra le tombe del cimitero è inquietante: le date di nascita sulle tombe sono una prova più tangibile delle statistiche che indicano la mortalità infantile a Cerro de Pasco quattro volte più alta della media nazionale» prosegue Flaviano, raccontando delle attività della sua Ong, Source International, in difesa delle comunità colpite da inquinamento e violazioni dei diritti umani causate da grandi imprese estrattive. «Operiamo a Cerro de Pasco da oltre dieci anni: ora stiamo cercando di portare il caso alle più alte istituzioni internazionali. L’alta mortalità infantile, l’incidenza di leucemia e tumori, ma anche i problemi di apprendimento diffusi così capillarmente in tutta la popolazione, sono il frutto di una grave e massiccia violazione dei diritti umani, e, come tali, vanno trattati dalle più alte istituzioni deputate ad intervenire» aggiunge Bianchini. Dal 2016 il sovrasfruttamento della miniera, in aggiunta alla crisi finanziaria, hanno fatto rallentare le operazioni. Da allora i lavoratori, 6.000 all’apice della produzione, sono stati ridotti a 400 unità. Nel 2018 Volcan – nel frattempo cresciuta e ora in possesso di 6 miniere e un porto – è stata acquistata dal colosso Glencore, la maggiore impresa mineraria al mondo, con sede in Svizzera.
Ma a Cerro de Pasco nulla è cambiato: nessuna opera di bonifica è in atto e l’inquinamento e le malattie devastano la comunità. Dal 2020 Glencore è in trattativa per vendere la singola miniera di Cerro de Pasco per 30 milioni di $ a una compagnia mineraria fondata ad hoc, la Cerro de Pasco Resources, in difficoltà, però, nel reperire i fondi necessari all’acquisto, e, comunque, «non conta di chi sia la compagnia per gli abitanti di Cerro: se la situazione non cambia continueranno a morire, indipendentemente da chi li sfrutti, Pizarro o la Glencore» conclude Bianchini.
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