Il distanziamento sociale, nel suo aspetto meramente materiale di distanza fisica tra le persone, è l’antitesi perfetta dei rapporti umani che si vivono a Fede e Luce, dove il dialogo vive poco di verbalizzazione e invece molto di parole abbracciate, sorrise o camminate. Nella sua ragion d’essere, ovvero la protezione reciproca, il distanziamento sociale, paradossalmente, si sposa invece con l’essenza più vera e più profonda del nostro movimento, la fedeltà e la costanza delle relazioni tra ragazzi, genitori e amici, il «reciproco custodirsi», rubo le parole dall’omelia d’inizio pontificato di Papa Francesco, «nella confidenza, nel rispetto e nel bene».
A Fede e Luce abbiamo imparato, sperimentato e inventato i modi e i tempi più disparati del verbo custodire: di certo il covid-19 ce ne ha tolti tanti, certamente i più belli, ma ce ne ha anche regalati di nuovi, magari meno avvolgenti perché più tecnologici, ma comunque efficaci. Anzi, se proprio vogliamo dirla tutta, in questo lunghissimo anno, la nostra rete umana ha retto proprio grazie alla Rete.
Tra gruppi whatsapp, videochiamate e riunioni su zoom, siamo riusciti a restare vicini, anche se a distanza, e a condividere come prima del covid – vogliamo ipotizzare anche di più? – i colori più diversi e le temperature più varie delle nostre giornate: tra toni canzonatori e appelli disperati, nella nostra rete umana e virtuale è girato di tutto, non da ultimi i piccoli grandi miracoli dell’amore, quelli che nascono quando sappiamo metterci nei panni degli altri, soprattutto quando non li conosciamo nemmeno, come fa il samaritano della parabola di Luca quando passa casualmente accanto a uno sconosciuto mezzo morto e si ferma a prendersene cura.
Un piccolo grande miracolo d’amore tra sconosciuti, che forse mai s’incontreranno, l’ho visto sbocciare in rete, nelle chat del mio telefonino, a metà novembre quando un ragazzo con autismo della mia comunità è stato ricoverato d’urgenza in ospedale per una brutta embolia polmonare legata a un precedente intervento ortopedico. Siamo in piena seconda ondata, tutti gli ospedali covid osservano regole rigidissime: nessun paziente può ricevere visite dall’esterno, nemmeno i pazienti non autosufficienti come il nostro A, che non si esprime con le parole ma solo attraverso i suoi suoni e una mimica inconfondibile. P, sua sorella, fuori dalla porta del reparto, non è solo terrorizzata per le condizioni di salute di A (i colloqui in presenza con i medici sono sospesi, per via del covid-19, e i parenti possono chiamare solo due volte a settimana in una precisa fascia oraria), ma è soprattutto preoccupata dal fatto che lui, in quel contesto, possa sentirsi abbandonato.
Ma con l’angoscia nel cuore e il telefonino in mano, P non si perde d’animo e comincia a scrivere a tutti i nomi che ha in rubrica per chiedere se per caso un contatto di un contatto, interno all’ospedale, potesse riuscire a farle avere qualche notizia. Come lei, a cascata, cominciamo anche noi a telefonare e a mandare messaggi all’impazzata: su whatsapp il tam-tam è velocissimo! Nel giro di poco, grazie a G, un’amica-sorella di Fede e Luce, si trova un primo gancio (suo cognato è un operatore socio-sanitario di quell’ospedale!) che si attiva subito per avere notizie di A! Già questo mi era sembrato, come sono solita dire, un bel segno: A non era solo e non era sola nemmeno sua sorella dietro la porta. Poco dopo, un altro piccolo grande miracolo, un quid pluris di attenzione e tenerezza in chat: il cognato di G, dopo aver parlato con gli infermieri e aver preso tutte le informazioni utili da girare a P, aveva avuto l’accortezza di andare nella stanza di A e di scattargli una foto; «ho pensato – dirà dopo – che i suoi familiari si sarebbero tranquillizzati vedendolo». E così è stato!
Grazie caro cognato sconosciuto, che ti sei fatto pescare dalla nostra rete fermandoti esattamente come il samaritano del vangelo di Luca. Grazie cara G per tutte le volte in cui la rete di Fede e Luce l’hai lanciata, cucita e rammendata, da sorella e da amica, e questa volta anche con la Rete.
(Epilogo. Nei giorni successivi al ricovero, P è stata contattata dalla psichiatra dell’ospedale per avere indicazioni su come interagire con A e, dopo aver fatto il tampone, è stata ammessa in reparto. L’embolia di A è fortunatamente rientrata e adesso lui è in convalescenza a casa, dove, coccolato dalle sue sorelle, ha iniziato con buoni risultati la riabilitazione: presto tornerà a camminare e a correre!).
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