Era stata unica ma non irripetibile, la 77ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia dello scorso anno. A Venezia 78 abbiamo ritrovato le stesse regole sanitarie di un anno fa: controllo della temperatura, distanziamento e mascherine nelle sale, tappeto rosso coperto alla vista da un muro e l’aggiunta del green pass obbligatorio. È andata bene anche stavolta, con solo tre casi di positività. Filato tutto liscio sul piano organizzativo e sanitario, sono stati i film a prendersi giustamente la scena.
Il direttore Alberto Barbera aspirava ad individuare un tema portante nei film della selezione ufficiale, per questo aveva affermato che molte opere avrebbero trattato della condizione femminile. Alla fine è stato più centrale il tema della maternità, a partire dal film di apertura Madres Paralelas di Pedro Almodóvar: due madri partoriscono lo stesso giorno nello stesso ospedale e, da allora, la loro vita si intreccia in modo inestricabile. È Penélope Cruz ad interpretare una di loro, vincendo il premio per la migliore attrice. Nel film il regista ragiona sull’importanza dei rapporti di sangue e sull’affetto altrettanto forte che si può provare per qualcuno con cui non si hanno legami genetici.
Tratta ancora di una possibile maternità, seppure rifiutata, L’Événement di Audrey Diwan: protagonista è una giovane studentessa francese degli anni ‘60 che, rimasta incinta per errore, è decisa a non avere figli in quel momento della sua vita. Il film ha vinto un po’ a sorpresa il Leone d’Oro, quando molti pronosticavano invece una vittoria per Paolo Sorrentino e il suo film autobiografico È stata la mano di Dio (citazione di una celebre frase di Maradona), in cui gran parte della storia di formazione del protagonista ruota attorno al rapporto coi genitori, interpretati da Teresa Saponangelo e Toni Servillo.
È una madre anche la protagonista di The Lost Daughter che Maggie Gyllenhaal ha tratto da un romanzo di Elena Ferrante: premio per la miglior sceneggiatura, nel film è narrata la storia di una donna di mezza età in vacanza in Grecia che, osservando una giovane madre con sua figlia, ripensa al suo rapporto dolce e tormentato come madre di due ragazze. Ed è una madre che soffre anche la poetessa polacca Barbara Sadowska, il cui figlio adolescente viene massacrato senza motivo di botte dalla polizia comunista: la Polonia raccontata in Leave no Traces (regia di Jan P. Matuszynski) è quella degli anni ’80, quando stava cercando di ripulire la sua immagine internazionale accettando persino la seconda visita ufficiale di Papa Giovanni Paolo II. Il governo vuole insabbiare i suoi abusi ma la madre del ragazzo e il suo migliore amico si oppongono fermamente.
Molte madri memorabili erano presenti anche nei film della sezione Orizzonti: in particolare la Vera di Vera Andrron Detin (regia di Kaltrina Krasniqi), che lotta per l’eredità della figlia, quasi impossibile da ottenere nel Kosovo maschilista e patriarcale. A sua volta, Vera è consapevole che l’eredità più significativa l’aveva ricevuta dalla madre sorda che le aveva insegnato il linguaggio dei segni, permettendole di trovare lavoro come interprete. Altra madre è Julie, che lavora e cresce da sola due figli lottando ogni giorno col complicato pendolarismo verso Parigi (À Plein Temps). In Cenzorka, 107 madri crescono i figli in un carcere di Odessa con la paura, prima o poi, di non poterli vedere più; infine la storia di Pin-Wen, che assiste in casa la figlia in quarantena per la positività di una compagna di classe e che, poco dopo, svilupperà un disturbo psicotico e dovrà essere a sua volta assistita dalla figlia, in un commovente cambio di ruoli (Pubu).
Anche il tema della paternità ha avuto il suo spazio. In Un Autre Monde troviamo Vincent Lindon nel terzo film diretto da Stéphane Brizé dedicato al mondo del lavoro. Lindon veste i panni del direttore di uno stabilimento francese di una multinazionale americana: guadagna molti soldi ma è tormentato dall’ordine ricevuto dai vertici dell’azienda di licenziare qualcuno dei suoi dipendenti; i suoi problemi lavorativi hanno distrutto l’armonia della sua famiglia, portando la moglie a chiedere il divorzio e probabilmente peggiorando la salute del figlio, costretto a lasciare la scuola per essere ricoverato in una clinica psichiatrica. Se nei film precedenti Brizé si era concentrato su chi il lavoro lo perde o lo sta per perdere, qui ci mostra che i soldi o il potere non garantiscono ugualmente la serenità del singolo, in un libero mercato sempre più inumano che obbliga a trascurare gli affetti familiari.
Ancora in La Caja di Lorenzo Vigas, un ragazzino si reca nel pericoloso nord del Messico per prelevare i resti del padre ritrovati in una fossa comune; lì incontra un uomo che somiglia proprio al padre che non vedeva da anni e lo avvicina, nella speranza che i resti nella cassa appartengano a qualcun altro. Dopo un’iniziale diffidenza, nasce un rapporto tra i due, ma quelle zone dominate dalla criminalità organizzata rischiano di cambiare in peggio la vita al ragazzo, guastando la gioia per il presunto ritrovamento del padre.
Merita qualche parola anche l’atteso Freaks Out di Gabriele Mainetti, esempio quasi inedito di film fantasy italiano con ambizioni produttive internazionali. Nella Roma occupata dai nazisti dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 troviamo un piccolo gruppo di circensi con poteri particolari, guidati dall’ebreo Israel: un peloso e forzutissimo uomo lupo, un ragazzo albino capace di controllare gli insetti, un nano che attira a sé il metallo e infine una ragazza che emette elettricità e non può essere toccata. Sono diversi nell’aspetto o nelle capacità, pensano di poter vivere solo in un circo perché hanno imparato che non c’è altro posto per loro, ma forse devono solo trovare uno scopo per sentirsi utili. A fargli da contraltare, Mainetti pone una banda di partigiani mutilati di guerra; anche loro sono diventati diversi ma uno scopo – la lotta per la libertà contro il nazifascismo – lo hanno già trovato e li motiva ad andare avanti.
In un’edizione che ha visto premiati nella sezione dei film in realtà virtuale un’opera che tenta di illustrare la schizofrenia (Goliath: playing with reality) e in Orizzonti Extra un film interpretato da un attore cieco (The Blind Man Who Did Not Want to See Titanic), la stampa internazionale ha lodato la scelta di mostrare i sottotitoli in inglese anche durante le proiezioni dei film parlati in inglese, in passato assenti (venivano mostrati solo quelli in italiano). Un piccolo ma significativo passo per permettere a un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo di partecipare a questi grandi eventi.
La Newsletter
Ombre e Luci è anche una newsletter
Ci trovi storie, spunti e riflessioni per provare a cambiare il modo di vedere e vivere la disabilità.
Se prima vuoi farti un'idea qui trovi l'archivio di quelle passate.