Da subito è stato considerato uno dei film dell’anno; sin dalla presentazione al Sundance Film Festival a gennaio 2021, dopo il quale Apple ne comprò a caro prezzo i diritti di distribuzione (cioè aggiungerlo al catalogo di Apple Tv+). Eppure in Italia CODA di Sian Heder avrà una circuitazione anche nei cinema, dopo l’anteprima italiana sul grande schermo al Torino Film Festival. Il titolo si dovrebbe scrivere in maiuscolo perché è l’acronimo di child of deaf adult, ovverosia una persona udente figlia di uno o entrambi genitori sordi. Anche se non è messo bene in evidenza nei titoli, è un remake americano del film francese La Famiglia Bélier del 2014, che ebbe un buon successo in Europa (e probabilmente un po’ meno negli USA). La trama è molto simile, nonostante le inevitabili differenze geografiche: una ragazza che vive in famiglia, con i genitori e il fratello non udenti, e li aiuta nella vita come nel lavoro, ha un grande talento nel canto e sogna di poter studiare musica, nonostante sia una passione che non può condividere con i suoi familiari, a differenza di tanti altri aspetti della sua vita.
Il film francese aveva un tono più leggero e svariati momenti da commedia, mentre questa nuova versione è più drammatica, pur non eliminando totalmente alcuni momenti divertenti. Tuttavia la sordità è usata come un elemento meno comico; anzi, una scena molto rilevante è stata cambiata proprio per stigmatizzare la faciloneria con cui si deride ciò che non si conosce. C’è soprattutto una scelta di fondo rispetto all’originale, non solo di forma ma anche di sostanza: in CODA i personaggi sordi sono interpretati da attori non udenti, nella versione francese no. All’epoca quella scelta fu molto criticata, qui al contrario il film ha coinvolto la comunità di non udenti e per questo, sin dall’anteprima, è stato accolto molto più favorevolmente (vi troviamo anche un volto molto noto: la madre della protagonista è Marlee Matlin, la vincitrice dell’Oscar per Figli di un Dio Minore).
Anche per questo motivo, forse, c’è un altro aggiustamento che si fa notare: i dialoghi nella lingua dei segni sono senza audio. Può sembrare una scelta ovvia, eppure nel film francese la ragazza protagonista ripeteva a voce anche quasi tutto ciò che comunicava con la lingua dei segni. Non lo faceva certamente per chi (non) la ascoltava all’interno del film, ma solo per noi spettatori: per non lasciare troppi momenti di silenzio. A distanza di qualche anno, la sensibilità degli spettatori è cambiata, si è diffusa una maturità tale da poter seguire solo con l’ausilio dei sottotitoli i dialoghi nella lingua dei segni senza udire alcun suono, rendendoli così molto più credibili.
Detto quindi che parliamo di un film più verosimile e rispettoso della comunità che racconta, resta la complessità del rapporto dei sordi con la musica, aspetto che può creare una crepa in una famiglia altrimenti molto unita. Si percepisce il disagio latente dei due genitori per il fatto avere una figlia che sente e che quindi non può fare parte al 100% di quella loro comunità cui tanto tengono: ma tutti i piccoli cambiamenti apportati rispetto alla versione originale – nella struttura della storia, nel tono generale, nella scelta degli attori – rendono il tema meno controverso, più sincero. Anche la scelta di renderla una famiglia di pescatori che si impegna pubblicamente per tutelare l’attività di tutti quelli che operano nella zona – rende più corale uno dei temi principali del film: la volontà di non arrendersi e riuscire laddove il fallimento sembra inevitabile.
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