Qualche settimana fa, Kristen Lopez raccontava su IndieWire le sue disavventure di critica cinematografica con una disabilità motoria alle anteprime per la stampa e agli eventi di presentazione dei film: troppo spesso gli spazi pubblici previsti non risultano adeguati, anzi. Si tende spesso quasi a far sentire in colpa chi chiede rispetto per i propri diritti di partecipazione a quegli eventi. Appena un paio di giorni prima, il Torino Film Festival aveva presentato la sua 39a edizione con un programma in cui ogni luogo di proiezione veniva indicato come accessibile ai disabili. Ma quali? La precisazione non era stata ritenuta sufficiente già durante la conferenza stampa, quando era stato chiesto al direttore Stefano Francia di Celle se fossero previste proiezioni specificamente rivolte agli spettatori con ogni tipo di disabilità. La risposta inevitabilmente vaga non ha accontentato l’Anffas Torino che ha lamentato la mancanza di film accessibili alle persone con disabilità sensoriale, cognitiva, intellettiva e/o relazionale, sostenendo che il finanziamento ricevuto dal Comune di Torino imponesse invece una fruizione generalizzata della manifestazione. Purtroppo realizzare film con questo tipo di accessibilità non è immediato e i festival del cinema non hanno né i mezzi, né gli spazi né soprattutto il tempo per predisporre copie adeguate. Il TFF è comunque riuscito a organizzare la proiezione con audio descrizione del film La Svolta e proiettare altri due film con sottotitoli facilitati. Uno di questi, presentato al pubblico il 3 dicembre in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità, è stato CODA di Sian Heder; già premiato al Sundance Film Festival, il film è stato acquistato a peso d’oro da Apple per il suo catalogo in streaming ma, per fortuna, proiettato in anteprima proprio a Torino. Il titolo è l’acronimo di Child Of Deaf Adult, ossia una persona udente figlia di uno o entrambi i genitori sordi, ed è il remake americano del film francese La Famiglia Bélier (2014) che ebbe un discreto successo anche in Italia. La trama è molto simile: una ragazza, figlia di genitori sordi e con un fratello sordo, li aiuta nel lavoro e nella vita ma sogna anche di cantare, nonostante sia una passione che non può condividere con i suoi familiari. Rispetto all’originale ci sono alcuni cambiamenti rilevanti: il tono è meno da commedia, c’è minore ironia basata sulla sordità; i personaggi sordi sono interpretati da attori sordi e i dialoghi nella lingua dei segni non vengono ripetuti, ad uso esclusivo del pubblico, a voce alta.
Meno edificante la vicenda, ispirata a fatti reali, raccontata nell’unico film italiano in concorso, Il Muto di Gallura: in una lunga e violenta faida tra famiglie sarde, nel 1848, viene coinvolto un ragazzo muto, fino ad allora sempre trattato con sufficienza da tutti. Questi diverrà un bandito temuto per la sua mira e la sua crudeltà e la lunga latitanza lo renderà leggendario persino più degli omicidi commessi senza impedirgli di sognare l’amore di chi trova del buono in lui.
Il TFF è stato vinto dal turco Between Two Dawns, un dramma in cui i proprietari di una fabbrica tessile provano a gestire, non sempre correttamente, le gravi conseguenze di un incidente sul lavoro che ha coinvolto un loro dipendente.
Appena terminato il TFF, a inizio dicembre si è svolta a Cagliari la settima edizione del Babel Film Festival, rassegna affascinante e unica al mondo dedicata alla promozione dei film che raccontano le minoranze soprattutto linguistiche. Per il suo regolamento, sono considerate lingue minoritarie anche quelle -numerose- dei segni, da sempre comunque presenti nel programma del festival. La più sorprendente e quasi ignota è quella di una popolazione Maya dello Yucatan, narrata in Boca de Culebra di Adriana Otero Puerto: un metodo di comunicazione inventato all’interno di una piccola comunità molto chiusa in cui, nel corso del tempo, si è diffuso una sorta di mutismo congenito in molte famiglie, tutte imparentate tra loro. Quel linguaggio comunitario rappresenta una forma di appartenenza molto forte ma i membri più giovani della comunità aspirano a spezzare il tradizionale isolamento che è anche causa di impoverimento genetico.
Affascinato soprattutto dai movimenti delle mani, il regista paraguaiano Agu Netto -che ha nascosto a lungo la malformazione di una delle sue mani- nel cortometraggio Otra Mano mescola le sue riflessioni personali all’ammirazione per quei movimenti che riescono a esprimere una lingua efficace all’interno e all’esterno delle famiglie. Purtroppo il regista è morto qualche mese fa, ma la sua poetica riflessione sull’espressività delle mani è stata accompagnata a Cagliari dalla sua giovane figlia.
Meno soave e più inquietante è il corto in LIS Intolerance di Giuliano Giacomelli e Lorenzo Giovenga: un senzatetto muto, che non comunica mai con nessuno perché per la società che lo circonda è quasi invisibile, compie un atto generoso nei confronti di una donna misteriosa: ma lei non è ciò che sembra e la ricompensa per la sua generosità porta il finale in territori inquietanti, quasi da horror, in una prospettiva che da spettatori non possiamo facilmente comprendere.
Da segnalare anche il Premio FEDIC Cagliari assegnato a Con la S maiuscola di Marco Spanu (purtroppo non proiettato durante il festival) dove la quotidianità della comunità sorda è stata raccontata anche attraverso materiali d’archivio dell’Istituto Luce.
Per quanto riguarda i lungometraggi, il Premio Maestrale è stato assegnato a Ndoto ya Samira (Il Sogno di Samira) di Nino Tropiano, in lingua inglese e swahili: pluriennale racconto di una giovane ragazza dello Zanzibar che ha cercato in ogni modo di emanciparsi attraverso lo studio, in un paese che offre poche prospettive di lavoro per una donna. Una vicenda a lieto fine che ben rappresenta la volontà del festival di mettere in luce comunità, persone, lingue meritevoli di essere raccontate a un pubblico curioso delle pluralità del mondo.
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