«Che strano uovo – disse la Regina. Accettò con qualche esitazione l’uovo nero dal Re, ma fece come questi chiedeva e lo covò nel seno». Nascerà un pulcino un po’ spennacchiato che diventerà sì un bel galletto, ma troppo indisponente: corre tutto il giorno per il castello rovinando ogni cosa e, peggio ancora, non la smette mai di fare chicchirichì giorno e notte.
Niente pare raddrizzare il galletto protagonista de L’uovo nero – albo illustrato di Sante Bandirali e Alicia Baladan (Uovonero edizioni 2020), tratto da una fiaba di Luigi Capuana – e addirittura, come ultimo tentativo, il re in persona si reca dalla fata Morgana per chiedere aiuto. Grazie al becchime speciale prescritto della fata, il gallettaccio si trasforma in un bel ragazzo robusto ma «con addosso una grande tristezza. […] Ma cosa voleva per essere felice?». Il re e la regina che hanno smesso di temere le sue stravaganze e gli vogliono bene, organizzano per lui situazioni adeguate, dove può esprimersi , muoversi con le sue modalità e far emergere il meglio di sé, senza forzature. nel rispetto dei suoi talenti. Infatti alla fine della fiaba, e con soddisfazione anche della giovane sposa, un bel chicchirichì libera tutti.
Le fiabe – attraverso il linguaggio delle metafore, onirico delicato e fascinoso e col “c’era una volta” che le situa ad una distanza di sicurezza psicologica – propongono sotto il profilo simbolico tutti gli aspetti della realtà, anche i più duri, senza tuttavia rimuoverli. Per questo sono particolarmente adatte ad aiutare i bambini nella loro scoperta del mondo e a condividerne il sistema di valori.
È innegabile che la letteratura per ragazzi, da sempre e non solo attraverso le fiabe, cerchi di anticipare percorsi e visioni dell’esistenza, esplorandone le sfaccettature, fino ad arrivare ai titoli contemporanei che alle allegorie uniscono e a volte sostituiscono, lo sguardo della verità e oppongono ai pregiudizi e alle difficoltà forza e poesia.
«Davide adora leggere e c’è un’altra cosa che a volte lui può fare e io no: di notte quando i nostri genitori ci dicono che è ora di spegnere la luce e dormire […] Davide può continuare a leggere come sempre. Certe notti riesco a sentire il fruscio delle sue dita che passano sui punti in rilievo delle pagine dei suoi libri». Davide quelle storie poi le racconta e sa anche inventarne di straordinarie che incantano il fratello. «Se Davide deciderà di diventare uno scrittore […] dai suoi libri faranno sicuramente anche dei film».
Quello del piccolo protagonista di Che bambino fortunato (di L. Schimel e J.C. Mayorga, Uovonero edizioni 2019) è lo sguardo libero, curioso dei bambini, che percepisce oltre la materialità e sa percorrere strade nuove. Con lui Carlo, l’amico dei giochi. A casa di Carlo si gioca a battaglia, con i soldatini. Il papà porta i biscotti che ha preparato lui per la merenda, poi si ricomincia a impilare la fortezza di cuscini. A casa bisogna essere più tranquilli, «Non voglio che Davide si faccia male, così quando Carlo viene a casa mia […] guardiamo un film» con naturalezza tutti e tre i bambini imparano le differenti prospettive della realtà.
Anna – al centro de Il mare non serve a niente (Harper Collins 2018) di Daniele Rossi e La Bigotta – abita in un palazzo di cento piani. Dalla finestra di camera sua si vede il cielo, ma a lei non interessa. Anna vuole vedere il mare. «Il mare è grande, fuori fa rumore ma dentro è silenzioso e pieno di meraviglie». «E tu come lo sai?», «Io l’ho letto nei libri…». «Il mare non serve a niente», le rispondono sempre il babbo, la mamma, la nonna… Anna di notte li sente parlare e qualche volta piangere – «Perché ci parla sempre del mare? Come faremo?». Ma Anna continua a leggere Moby Dick e a sognare e finalmente al suo sogno ci credono anche i grandi, la sedia a rotelle può rimanere ai piedi del letto. «Oggi ti portiamo al mare – Splash».
Una storia coraggiosa, quella di Anna, tanto semplice quanto importante: non abbandonare i propri sogni. Anche quando sembrano irraggiungibili, credere di poter arrivare a qualcosa di tanto ambito fa andare anche quando le cose non sono semplici.
La letteratura offre parole all’inenarrabile, a quello che pare impossibile, può spalancare mondi inimmaginabili, raccontare di trappole che saltano, di gabbie che si aprono.
«Certi giorni la mamma era una principessa e un re malvagio l’aveva imprigionata nel suo castello. Certi giorni la mamma era una fata, ma un pirata l’aveva rinchiusa in una gabbia tutta d’oro». La voce narrante è quella di Lisa, la sua mamma, Adele, è matta e per questo è rinchiusa al San Giovanni, il manicomio di Trieste. Adele e Lisa – racconta Davide Morosinotto in Franco Basaglia. Il re dei Matti (Einaudi ragazzi 2018) – non possono stare insieme, per incontrare sua madre la bambina deve scappare di nascosto alla zia, raggiungere il grande edificio sulla collina e sfuggire alla guardia che custodisce il cancello. Il manicomio è un posto terribile «sedie a rotelle con le cinghie, le sbarre, le museruole come quelle per i cani. Soprattutto sentì l’odore: puzza di sporco, di lacrime, di speranza perduta. […] E una donna in piedi con la testa appoggiata contro il muro. La testa rasata. Se da qualche parte esisteva un inferno, allora doveva essere un posto così. Un posto di capelli tagliati ed occhi vuoti». Ma sono gli anni Settanta del Novecento e presto al San Giovanni arriverà un nuovo direttore, Franco Basaglia. Lui vede il manicomio con gli stessi occhi di Lisa, non vuole farne un posto migliore, lo vuole abolire.
Certamente tutt’altro che stucchevoli e manierate sono le principesse Disney della galleria di AleXandro Palombo, provocatoriamente intitolata Do You Still Like Us?, nella quale sfilano Biancaneve e Cenerentola in carrozzina, Pocahontas senza una gamba, Mulan e Jasmin focomeliche. «Se la Disney prendesse posizione – dice Palombo – influirebbe sull’immaginario globale dei bambini, è attraverso i loro occhi che si cambia il mondo». Ed è questa la vera scommessa.
“È difficile fare le cose difficili:
parlare al sordo,
mostrare la rosa al cieco.
Bambini, imparate a fare cose difficili:
dare la mano al cieco,
cantare per il sordo,
liberare gli schiavi che si credono liberi”(G. Rodari)
*Per gentile concessione, pubblichiamo questo articolo uscito sul numero 3/2020 della rivista “Culture e Fede” (pagine 250-252) edita dal Pontificio Consiglio della Cultura
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