Ho sempre girato molto per raccontare la mia esperienza di vita, sperando che potesse servire a spronare qualche ragazzo o qualche ragazza con disabilità a uscire dall’angolo, ad aiutarlo a sentirsi meno schiacciato da quella che la società determina come differenze insormontabili. Ho anche raccontato la mia storia davanti a platee assolutamente eterogenee per partecipazione, interessi, età e input e proprio dopo uno di questi incontri con gli adulti ho fatto una scoperta per me devastante.
Mi ero messa in un angolo per bere un bicchiere d’acqua, mio marito Luca era un po’ distante da me intento in una conversazione amichevole, quando una ragazza spinge a fatica la sua carrozzina verso di me, si ferma e mi fissa. Improvvisamente mi chiede: «È tanto che state insieme?». Io le rispondo genericamente che stiamo insieme da un po’ e che siamo sposati. La ragazza mi guarda e mi dice: «Sei fortunata, io questa fortuna non la ho, volete dei figli?», ero un po’ spiazzata e infastidita per quella domanda così personale e diretta che metteva il dito in una ferita per me apertissima. «Sì. Ci piacerebbe». In quel momento siamo state avvolte da un silenzio gelido che lei ha rotto seguendo il filo dei suoi pensieri, che vagavano sparsi. «Beata te. Io ero rimasta incinta, ma sai… io non posso essere una buona madre». Non ho capito, ho avuto problemi a connettere il senso di ogni parola, ma lei ha continuato. «Sai, mio padre mi ha spiegato che con la mia disabilità non ce l’avrei mai fatta a essere una brava madre e mi ha convinto ad abortire. Ma sai…» il suo tono di voce si era fatto sempre più flebile «Io quel bambino lo volevo. Era il mio bambino».
Questo incontro mi ha scossa terribilmente. Perché credo fortemente che l’aborto debba essere una libera scelta, sicuramente sofferta e dolorosa, in cui quel principio di libertà sia inviolabile e non giudicabile in un senso o nell’altro.
In quel momento, quando ancora non sapevo neanche se sarei riuscita mai a diventare madre, ho deciso che avrei dovuto fare qualcosa per creare una nuova consapevolezza nelle donne con disabilità, la consapevolezza di poter essere madri. Quando poi sono rimasta incinta mi sono chiesta più volte se fosse il caso di rendere pubblica la mia gravidanza, se fosse quello lo strumento giusto, così è nata la campagna #diversamenteincinta e #diversamentemamma nelle quali ho raccontato le mie difficoltà durante la gravidanza e nel post-partum.
Da questa esperienza, è nata la mia proposta di istituire un percorso ad hoc per le future mamme disabili che si attiva al momento del riconoscimento di uno specifico codice di esenzione che attivi gli specialisti per ogni branca di cui si ha bisogno. Personalmente ho avuto bisogno di una consulenza oculistica poiché i miei occhi, provati già da un distacco di retina dopo la nascita, avrebbero potuto soffrire molto la gestazione, un ortopedico e un fisioterapista domiciliare. Questa scelta mi ha permesso di evitare di essere immobilizzata a letto e mi ha consentito di poter camminare fino a pochi giorni dal parto. Ma io avendo avuto tempo per organizzare la mia gravidanza, avevo già costituito il team, ma non tutte le gravidanze sono attese così tanto.
La mia proposta è anche di creare una help line di sostegno per le donne con disabilità incinte che possa dare suggerimenti e pianificare interventi se servono. Dopo una mia prima audizione in Commissione Pari Opportunità del Municipio XII di Roma, l’idea è stata sposata dall’amministrazione Capitolina che, dopo un giro di audizioni ha proposto e approvato all’unanimità una mozione che sostiene il mio progetto e se ne fa promotrice anche a livello Nazionale. Ora spero che altre città seguano l’esempio della Capitale e che l’idea possa arrivare in Parlamento.
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