In anni recenti due editori italiani hanno tradotto volumi estremamente importanti sull’operazione T4, compiendo una scelta editoriale molto significativa: nel 2017 è stato Einaudi a proporre al pubblico italiano Zavorre. Storia dell’Aktion T4. L’«eutanasia» nella Germania nazista, 1939-1945 di Götz Aly (traduzione di Daniela Idra), mentre nel 2018 Marsilio ha pubblicato I prescelti di Steve Sem-Sandberg (tradotto da Alessandra Albertari).
Verbali, relazioni, perizie, lettere… È veramente ampio il materiale, raccolto in oltre trent’anni, che ha permesso al giornalista e storico tedesco Götz Aly di scrivere uno dei libri più completi sul programma di eliminazione delle vite «indegne di essere vissute» voluto da Hitler. Zavorre. Storia dell’Aktion T4. L’«eutanasia» nella Germania nazista, 1939-1945 (Einaudi 2017), infatti, ne ripercorre prodromi, genesi e realizzazione, ponendo l’accento anche sul problema della responsabilità di tanta parte della popolazione, che non solo vide e capì, ma (andando ben al di là della mera esecuzione degli ordini) collaborò attivamente allo sterminio. Aly indaga con attenzione anche la battuta di arresto che il programma T4 subì nel 1941 (pur continuando a mietere vittime fino al termine della guerra), a cui, secondo l’autore, contribuirono la preoccupazione per l’andamento del conflitto, la crescente disaffezione dei tedeschi verso il nazismo e, soprattutto, l’opposizione della Chiesa cattolica. Determinanti furono tre omelie pronunciate tra il luglio e l’agosto 1941 dal vescovo di Münster, Clemens August von Galen, in cui si denunciava la pratica delle uccisioni forzate di «invalidi non più abili al lavoro, di storpi, malati incurabili, anziani deboli». Parole che squarciarono la coltre di silenzio su ciò che tanti sapevano, ma fingevano di non vedere.
Ed è proprio ai bambini vittime del T4, e in particolare a quelli torturati, seviziati e uccisi tra il 1940 e il 1945 nella clinica viennese di Spiegelgrund, e agli adulti a vario titolo coinvolti che lo scrittore e giornalista svedese Steve Sem-Sandberg ha dedicato I prescelti (Marsilio 2018), basato su storie vere. A intrecciarsi sono le storie di Adrian Ziegler, uno dei piccoli ricoverati, e dell’infermiera Anna Katschenka. Lui, sopravvissuto alla furia di quanti diedero concretamente vita all’operazione T4, ma rimasto segnato a vita (anche per colpa delle istituzioni democratiche) da quell’esperienza. Lei processata nel 1948 per i crimini commessi nella clinica, condannata a soli 8 anni di carcere malgrado una piena confessione e tornata alla sua professione di infermiera pediatrica, dopo averne scontati 4. Anche Sem-Sandberg ha svolto un enorme lavoro di ricerca per scrivere il libro. Giunto a Vienna, rimase scioccato dal cosiddetto Libro dei morti (Totenbuch) che raccoglie i diari dei medici che si occupavano dei bambini di Spiegelgrund. Di questo catalogo minuzioso (nomi e cognomi, descrizioni fisiche e psicologiche, date di arrivo nell’istituto e date di morte), furono le fotografie a colpirlo: circa l’80 per cento circa dei bambini ritratti sorrideva. «Del resto è questo che un bambino fa quando si trova davanti un uomo con una giacca bianca e una buffa macchinetta fotografica fra le mani. La cosa più naturale per un bambino è avere fiducia e sorridere. Tutti quei bambini avevano fiducia in queste persone, che in realtà erano lì per ucciderli». Vedere quel libro con i volti di oltre 800 bambini «è stato come essere colpiti da un’onda d’urto». Perché leggerne solamente i nomi, senza immagini, «può risultare solo un’informazione astratta; ma vedere questi sorrisi ha una forza travolgente. Ecco, ho voluto che quei nomi e volti potessero tornare a essere degli individui».
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