Sedicenne, incontrai Maria in oratorio. Era con la mia catechista Carla, aveva 25 anni e un viso un po’… insolito. «Lei è Maria – mi disse Carla sorridendo – si è appena rimessa da un intervento al volto». È stato questo l’inizio dell’amicizia tra una ragazzina di Milano cresciuta nella bambagia e una ragazza che di bambagia ne aveva vista e vissuta ben poca.
Come è stata la tua infanzia?
Serena. La mia famiglia era composta da sei persone: mamma, papà e noi quattro – Lia, Anna, Maria e Chiara. In realtà però le figlie erano cinque: la prima, Mercedes, morì a tre mesi per una gastrite fulminante. Papà era ragioniere e la mamma, laureata in filosofia (cosa non comune per i suoi tempi) scelse di non insegnare per dedicarsi a me. In famiglia entrava quindi un solo stipendio per sei, la vita era dura e qualsiasi cosa di cui avessi bisogno era a pagamento, allora non c’erano aiuti pubblici. Frequentai la scuola per motulesi e lì mi resi conto di non essere come tutti gli altri. I ragazzi con disabilità erano emarginati insieme alle loro famiglie. I miei genitori hanno avuto grandi meriti e tanto coraggio: mi hanno seguita, aiutata a scuola e portata in ogni luogo incuranti degli sguardi e dei giudizi non sempre buoni della gente. Entrati a Fede e Luce, vi hanno collaborato in molti modi. Non hanno fatto come altri genitori che avendo una persona con disabilità in famiglia la tenevano nascosta: erano tempi in cui la disabilità era ritenuta una vergogna e una colpa. Per questo mia mamma ha fatto tanti pianti.
Hai sempre lavorato e provveduto a te stessa.
Lo studio non mi piaceva e così, dopo le scuole medie, mi sono iscritta alla Scuola professionale Cova a Milano dove si imparava a dipingere su ceramica e porcellana, la mia passione. Trovare lavoro in quel settore però era difficile. All’inizio ho lavorato in un laboratorio ma non ero assicurata e la paga era proprio bassa, però ho imparato una tecnica. Per trovare una vera occupazione ho dovuto cercare in altri settori: dopo l’iscrizione al collocamento, sono stata assunta da una ditta farmaceutica. Confezionavo i medicinali. Nonostante lavorassi bene e molto, però, la ditta mi lasciò a casa in cassa integrazione: preferivano pagare le multe piuttosto che assumere persone con disabilità. Attraverso l’Associazione Invalidi fui poi riassunta. Anche se non era il lavoro che avrei voluto, ero felice di essermi inserita e di avere un vero stipendio.
Per un tratto della tua vita, hai avuto un amore.
Alle medie ho conosciuto Massimo, un ragazzo spastico. Era benestante ma gli mancava la cosa più importante: l’amore familiare. La mamma era morta presto, il papà non l’ha mai accettato. Praticamente non lo conosceva: lei lo metteva a letto prima che lui tornasse dal lavoro e al mattino lo alzava dopo che il padre era uscito. Massimo ha anche una sorella, per la quale però è sempre stato un peso. Ho vissuto una bella storia d’amore, portandolo in associazione, organizzando le vacanze insieme, trovando con gli amici opportunità a cui potesse partecipare. Ma per i suoi ero solo un’altra disabile, solo un altro peso. E Massimo non ha saputo né voluto reagire. Quando il padre è morto, la sorella l’ha messo in un istituto; ho cercato di andarlo a trovare ma avevano il divieto di farmi passare. Ho sofferto molto per questa storia, solo dopo tanto tempo ho capito che non poteva andare avanti. Oggi sono serena, ho dei familiari su cui posso contare e faccio tante cose con amici che mi fanno sentire benvoluta.
La passione per la decorazione della ceramica?
Negli anni di scuola per motulesi ho avuto la fortuna di frequentare un corso di ceramica. C’era un’insegnante speciale che aveva un laboratorio bellissimo: così ho scoperto la pittura. Anche negli anni successivi ho continuato ad andare da lei con mia sorella Lia, che – per aiutarmi – ha imparato a dipingere. La pittura su porcellana è un bellissimo hobby, che coltivo tutt’ora. Nonostante le mie mani, ho fatto mostre e insegno a dipingere.
Oggi vivi da sola: soddisfazioni e difficoltà?
Per anni ho vissuto con i miei genitori. Le mie sorelle hanno preso altre strade: Lia è stata insegnante di educazione artistica e ha una figlia che si occupa di musei e accessibilità, Anna fa la giornalista, mentre Chiara, dopo gli studi in psicologia, è entrata in clausura. Quando mio papà è mancato, sono rimasta ancora dieci anni con mia mamma, che ha vissuto fino a compierne 100! Gli ultimi otto li ha trascorsi completamente inferma ma sempre lucida di mente. Con Lia, sostenute da Chiara e con l’aiuto di varie badanti, abbiamo deciso di tenerla a casa come desiderava. È stata un’esperienza molto impegnativa ma sono contenta di aver fatto così. Vicina a Lia, ogni giorno ho imparato tante cose che mi hanno portata, passo dopo passo, all’autonomia, a vivere bene da sola. Oggi sono capace di organizzarmi in tante cose. Sono indaffarata con Fede e Luce, con la Cooperativa Olivo, la parrocchia e la porcellana. Sono tranquilla e soddisfatta di me stessa.
Cosa diresti agli adolescenti di oggi?
Li inviterei ad accogliere le persone con disabilità, a non aver timore e a non emarginarle. Può capitare a tutti di nascere con qualche diversità o di avere momentaneamente una disabilità. Sono persone come tutti, probabilmente sono solo più sensibili perché hanno sofferto una condizione che gli altri spesso fanno pesare. La nostra società punta all’esteriorità, al successo, all’avere il più possibile e non all’essere. A una persona con disabilità fa piacere essere accolta e capita, avere amici, proporsi così com’è e ricevere sostegno. Se avrete colpito il suo cuore, avrà un sorriso pieno di entusiasmo.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 149, 2020
SOMMARIO
Editoriale
Se lo diceva Coco Chanel... di Cristina Tersigni
Focus: Moda e disabilità
La rivoluzione copernicana di Lucas di Giulia Galeotti
Quel che l'abito fa di Nicla Bettazzi
Vedersi in vetrina di Cristina Tersigni
Jillian, la divina di Giulia Galeotti
Intervista
Tranquilla e soddisfatta di me stessa di Francesca Cabrini
Testimonianze
Quaranta occhi puntati su di te di Silvia Gusmano
Dall'archivio
Grazie per avermelo fatto fare da sola di Una mamma
Associazioni
Sfilate da sogno di Cristina Tersigni
Fede e Luce
Chi risponde alle domande di Daniela Guglietta
Spettacoli
Il corpo dell'amore di Cristina Tersigni
Rubriche
Dialogo Aperto n. 149
Vita Fede e Luce n. 149
Libri
La nostra casa è in fiamme di Greta Thunberg
Imperfetta di Andrea Dorfman
Che cos'è una sindrome? di Giuseppe Colaneri
La bambina morbida di Maria Cristina Toccafondi
Diari
Negozi e pantaloni di Benedetta Mattei
Per le strade di Roma di Giovanni Grossi
Ma ciao, ti tratto con tanta confidenza perché credo di aver capito chi sei. Ti ho sempre stimato e voluto bene e a tutt’oggi ti porto nel mio cuore. Magari se anch’io avessi avuto dei genitori disposti ad aiutarmi, senza dare troppo peso a tutto quello che gli altri dicevano di me! Per esempio: “Signora, se qualcuno accetterà sua figlia, sarà solo per un riguardo a lei”. Oppure: “In giro dicono che sei matta!”. Fortunatamente, in quell’occasione mio padre disse a mia madre – ma senza cambiare troppo il senso delle parole: “No, è solo un po’ balordina!”. Anche io, come te ho l’hobby della pittura, ma – sempre mia madre, con mia sorella – hanno sempre sostenuto che, anche come artista non valgo nulla, così pure come “scrittrice”. Di amori? Via via ne ho avuti parecchi, persino una recente contesa. Ecco, secondo il mio parere valiamo malgrado tutto ciò che dicono di noi!