Questa è la storia di don Giacomo Panizza, prete operaio oggi settantatreenne che nel 1976 decide di lasciare la Lombardia per trasferirsi in Calabria, senza tornare mai più indietro. «Mi trovavo in visita – racconta con leggero accento bresciano – alla comunità di Capodarco nelle Marche, stavo realizzando una tesina su catechesi e disabilità e mi imbattei in sacerdoti e scout che speravano nella possibilità di accogliere, appunto nella comunità marchigiana, alcuni calabresi in carrozzina abbandonati a se stessi. A quel punto mi son detto: “Perché spostarli? Facciamo qualcosa in Calabria coi calabresi”; e così, neanche trentenne e quasi per caso, sono arrivato nel profondo sud».
Con un passato da metalmeccanico, dal primo gruppo autogestito (una ventina di persone con disabilità e una decina di operatori) il lavoro di don Panizza è proseguito nel tempo. Fino a far esponenzialmente crescere Comunità Progetto Sud, onlus indipendente che dal 1976 ha sede a Lamezia Terme e che, oltre a persone con disabilità, sta accanto a tossicodipendenti, immigrati, rom, malati di Aids, minori e donne in difficoltà. Un insieme di reti, insomma, che cerca quotidianamente di dare risposte concrete di inclusione sociale. Un gruppo di gruppi, nato per offrire soluzioni alternative all’istituzionalizzazione e deportazione di persone calabresi con disabilità negli istituti del nord, e poi allargatosi ad altre problematiche sociali, perseguendo sempre giustizia, eguaglianza e legalità.
«Appena arrivato in Calabria – continua don Giacomo – tutti mi ponevano la domanda: “A chi appartieni?”. Nessuno si rendeva conto che ci apparteniamo tutti». Il sacerdote – che ha sfidato la ‘ndrangheta (dal 2002 uno dei centri di Progetto Sud si trova in uno stabile confiscato a una cosca), ricevendo continue intimidazioni – combatte giorno per giorno i pregiudizi. E lotta per i diritti di chi vive in prima persone certe condizioni.
«In Calabria c’è ancora tanto da fare, abbiamo un quinto dei servizi della Campania e un ventesimo di quelli presenti in Lombardia; la legge 328/2000 ad esempio non è stata nemmeno implementata, ma almeno, rispetto al passato, un cambiamento c’è stato: non lavoriamo sulle persone con disabilità, lavoriamo con loro». Una cosa rivoluzionaria, da cattivi maestri – per dirla col titolo del suo ultimo libro edito da Edb – stante a quello che al sud, e nell’intera Italia, si è insegnato fino a una certa epoca.
«Noi di Comunità Progetto Sud abbiamo da subito cercato di far uscire dall’isolamento persone considerate handicappate. Uomini e donne chiusi in casa, emarginati, che uscendo finalmente sono rinati e hanno capito di essere grandi e figli di Dio. Da noi la persona con disabilità sa che l’importante non è tanto ricevere quanto dare. Capire, cioè, che non si è per forza belli, bravi e perfetti ma che, come tutti, si hanno capacità e incapacità».
Sempre sul fronte della disabilità, tra i diversi gruppi di don Giacomo Panizza (tra cui il centro di riabilitazione, quello psico-educativo per l’autismo e lo sportello informativo guidato da una persona con disabilità) c’è la casa famiglia Dopo di Noi – di cui è responsabile l’educatrice e coordinatrice Elvira Benincasa – che apre le porte nel 2009, al secondo piano di un edificio confiscato alla mafia sul territorio lametino, per accogliere persone con disabilità fisica o psichica. Persone senza famiglia o con genitori non in grado di prendersene più cura, a cui viene messo a disposizione un servizio residenziale, attivo 24 ore su 24 e scandito dal clima familiare e da precise regole di convivenza, rispetto e accoglienza. A tutto ciò si aggiunge il valore delle storie personali di ogni ospite, al momento 6 fissi più un settimo a cicli alterni, tra i 50 e i 74 anni.
Le giornate non vanno avanti come in una bolla: oltre ai piani individuali e ai piani terapeutici da rispettare, ci sono anche le normali routine familiari. C’è chi va in palestra, chi svolge attività sul territorio, chi prepara il pranzo e poi nel pomeriggio va dal parrucchiere o a far visita ai vicini di casa, chi esce col pullmino attrezzato della struttura. Si organizzano le vacanze estive, tra Sila e mare. Col tempo si è costruita una famiglia felice che somiglia a tutte le famiglie felici, e al contempo una famiglia infelice a modo suo (per parafrasare la letteratura), fatta di operatori, esperti, professionisti, cuochi e soprattutto di voci che finalmente vengono ascoltate.
«Dopo di Noi come tutti gli altri centri – conclude don Panizza – compresi gli Sprar, le case antiviolenza, l’ufficio legale per i migranti e tutti gli altri programmi di recupero, è una comunità dove non solo si abita insieme ma si vive il territorio, il mondo e la vita». Partendo, naturalmente, da sud.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 150, 2020
SOMMARIO
Editoriale
E sono 150! di Cristina Tersigni
Focus: Piccolo e grande schermo
La varietà in cui viviamo di Giulia Galeotti
Interpreti di se stessi di Giulia Galeotti
Give Me Liberty di Claudio Cinus
Years and Years di Matteo Cinti
Quando ha recitato sottovento di Daniele Cogliandro
Due fratelli e la brigata inglese di Giulia Galeotti
...e per approfindire, c'è il nostro speciale Cinema e disabilità.
Intervista
Corrispondenze (e zoomate) dalla Russia di Cristina Tersigni
Testimonianze
Una piccola malga di Lucina Spaccia
Dall'archivio
Abitare la speranza di Mariangela Bertolini
Associazioni
Risposte concrete per bisogni concreti di Enrica Riera
Fede e Luce
Vicini a distanza di Angela Grassi
Spettacoli
La sfida di rileggere le scene del cinema di Matteo Cinti
Rubriche
Dialogo Aperto n. 150
Vita Fede e Luce n. 150
Libri
Il dono oscuro di John M. Hull
I bambini sono speranza di Papa Francesco
Diversi di Gian Antonio Stella
Tempo di imparare di Valeria Parrella
Diari
La differenza tra Shakespeare e Insinna di Benedetta Mattei
Come sono cambiato in questi anni di Giovanni Grossi