Fa caldo, ma Jorit Ciro Cerullo, conosciuto più semplicemente come Jorit, continua a lavorare imperterrito. Dall’altissima impalcatura su cui si trova sta realizzando il suo ultimo murale, «la rappresentazione iconica – ci spiega in un secondo momento – dei velocisti statunitensi Tommie Smith e John Carlos che, nel 1968, sul podio dei Giochi Olimpici di Città del Messico, rivendicarono diritti sociali e politici, alzando il pugno chiuso al cielo». L’opera, completata in soli tre giorni, s’intitola 19,83 (chiaro riferimento al tempo record segnato da Smith durante la gara) ed è dipinta, con bomboletta spray alla mano, sulla facciata del palazzetto dello sport di un quartiere popolare di Rende, il piccolo centro calabrese che ha inserito la performance da vivo dell’artista di strada napoletano nel cartellone della manifestazione culturale “Settembre Rendese”.
Quando Jorit, insieme agli aiutanti e colleghi Geremy e Salvatore, interrompe il suo lavoro per fare pausa pranzo è l’una passata. Il più quotato tra gli artisti italiani specializzati in arte urbana torna così a terra, saluta da lontano i fan curiosi e si siede sotto l’ombra di un grande pino. Noi siamo qui a disturbarlo perché, tra tutte, c’è una domanda che ci assilla. Ci chiediamo, insomma, perché, tra le sue opere dal profondo realismo, tra cui i ritratti di uomini e donne che hanno fatto la storia, lanciando messaggi sociali importantissimi, come Martin Luther King, Rosa Parks, Angela Davis e tantissimi altri ancora, ci sia anche quella di Niccolò, che è un bambino con autismo. Un bambino e basta.
Il pensiero, dubbio o curiosità, che dir si voglia, lo trasformiamo in domanda, che poniamo direttamente a lui, Jorit. Il trentenne – laurea all’Accademia delle Belle Arti di Napoli, esposizioni a Roma, Londra, Berlino, Sidney e murales rintracciabili in tutto il mondo, finanche in Palestina – ci risponde immediatamente. «Anche nella raffigurazione del volto di Niccolò c’è un potente significato sociale – dice con spiccato accento partenopeo –. Ho desiderato realizzarlo perché tutti potessero guardarsi dentro; volevo, cioè, dar vita a un discorso introspettivo».
Il dipinto di Niccolò viene iniziato nel 2017 e completato l’anno successivo, a san Giovanni a Teduccio, il cosiddetto “Bronx” di Napoli, sulla facciata di una struttura architettonica di dieci piani, nota per episodi legati all’attività criminale. «Se su una facciata c’è Niccolò – aggiunge Jorit –, su quella che le sta accanto c’è la raffigurazione di Diego (Diego Armando Maradona, ndc). Stanno insieme per un motivo preciso, volevo dare l’idea degli scugnizzi che seguono un sogno, ma questo è, appunto, solo uno dei significati dell’opera “Diego e Niccolò”. Nel mio lavoro, Niccolò, con cui ho interagito grazie al supporto di un’associazione del posto – dice ancora l’artista – quando apre gli occhi, guarda la città e la città, a sua volta, guarda lui. Anzi, finalmente lo vede».
Del giorno dell’inaugurazione del murale riguardante il bambino nello spettro autistico – su cui, tra l’altro, si nascondono le firme di tantissimi altri bimbi coinvolti dall’artista di strada, dal nome metà olandese metà napoletano – si ricordano anche le parole dei genitori di Niccolò: «Ci hanno ripetuto più volte che siamo dei genitori speciali ma (…) noi di speciale non abbiamo avuto niente se non Niccolò che con i suoi sorrisi e la sua presenza ci ha reso la vita migliore e ci ha dato la possibilità di incontrare persone meravigliose in questo lungo cammino (…). Per qualche strana magia, come per osmosi, tutti quelli che hanno incrociato Niccolò sul loro percorso si sono lasciati contagiare da questa gioia (…), persone che negli occhi di Niccolò hanno colto tutto quello che di meraviglioso c’è (…), quelli che sanno guardare davvero». Era il 2 aprile del 2018. Come ogni anno, ricorreva la giornata internazionale per la consapevolezza sull’autismo.
In particolare, sotto gli occhi di Niccolò, Jorit, come suo segno distintivo, dipinge pure le due celebri strisce rosse: si tratta di un simbolo particolare, che ha a che fare con la tradizione africana e che a oggi è riconducibile allo stesso artista. Grazie a lui, le persone sui muri segnate di rosso, fanno ingresso nella Human Tribe, la tribù umana dei murales – di cui fanno anche parte George Floyd (Napoli), anziani senzatetto (San Francisco), Nelson Mandela (Firenze), Gennaro (Napoli), Santiago Maldonado (Argentina) e via discorrendo – che vuole scuotere coscienze e puntare le luci su storie e luoghi dimenticati.
Una volta conclusa la storia di Niccolò, Jorit riprende il suo lavoro, riprende a dipingere, come fa da sempre, «sin da quando ero piccolo. Ora – conclude – con la pandemia diventa tutto più difficile, spostarsi è complicato. Io, ad esempio, durante il lockdown ho dipinto il tetto del palazzo dove ho trascorso la quarantena, realizzando un’opera di trenta per cinquanta. Attualmente ho altri lavori e collaborazioni tra Napoli, Roma e Firenze, ma molte cose sono saltate. C’amma fa».
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