Ho il sospetto che molte persone che fanno parte attiva del variegatissimo movimento di Fede e Luce ne conoscano poco le fonti scritte. La prima sono io che, solo anni dopo il mio ingresso in comunità, ho sentito prima il bisogno (quando sono diventata coordinatrice) e poi il desiderio (quando ho cominciato a sentirmi filo di un arazzo) di saperne di più. Di entrare con più consapevolezza nel cuore di quella piccola scintilla accesa ufficialmente a Lourdes nella Pasqua del 1971 e che brilla da quasi cinquant’anni nelle storie e nelle giornate di tante persone nel mondo.
Se dovessi chiedere a ogni ragazzo, genitore o amico il motivo del suo stare a Fede e Luce, immagino che la risposta più gettonata avrebbe a che fare con la libertà, l’amicizia e l’inclusione: in comunità si è liberi di essere sé stessi, di stare con i propri amici e di volersi bene. E in effetti è proprio così: la storia di Fede e Luce parla di libertà e di amicizia, di rispetto per la persona e per le sue infinite fragilità, parla di relazioni umane, parla di Gesù.
Questa storia, però, non sarebbe andata così lontano se quella scintilla iniziale, nata dal comune sentire di persone nella «stessa barca», non fosse stata nutrita da una visione e supportata da un’organizzazione che ne traducesse in concreto l’ispirazione. Così è nella vita del singolo e così è nella vita della società, ne sono convinta: non bastano buone intenzioni e buoni sentimenti, non si va lontano se si pensa di poter fare sempre e solo di testa propria. È questo il motivo per cui anche il nostro movimento ha sentito l’esigenza di fissare dei principi e darsi delle regole, per custodire le persone che ne fanno parte e la libertà della propria vocazione.
Novelle Maria e Marta al cospetto di Gesù, spirito e carne, la Charta e la Costituzione, che traducono per iscritto rispettivamente la visione e l’organizzazione di Fede e Luce, sono i binari su cui viaggia il movimento che ha una peculiarità fondamentale, il suo essere un movimento comunitario. Pur essendo al centro di tutto la persona, e nella fattispecie, la persona con disabilità mentale, con il suo diritto a «essere amata, riconosciuta e rispetta nel suo essere e nelle sue scelte», la cellula base della nostra realtà non è l’individuo ma la comunità «il cui scopo essenziale è quello di creare legami di fiducia e amicizia fra i suoi membri, legami che si fondano e si compiono in Gesù» perché «ogni persona, anche la più gravemente ferita, ha bisogno di incontrare dei veri amici, per formare insieme un ambiente fraterno dove ognuno possa crescere nella fede e nell’amore». Da soli, insomma, non si va da nessuna parte: la Charta lo spiega bene quando parla di incontro, festa e celebrazione, preghiera, amicizia e fedeltà, radicamento e integrazione.
Tanto è profetica e ispirata la Charta, che se letta un po’ più spesso eliminerebbe tanti piccoli deragliamenti delle e nelle nostre comunità, tanto è razionale e umile la Costituzione che, ponendosi «come obiettivo quello di presentare l’organizzazione del movimento, di precisare gli organi di coordinamento presenti nei diversi livelli di responsabilità, di definire come si forma e si compone una comunità di Fede e Luce», dichiara di essere «la sorella minore» della Charta che «ne è la premessa e ne definisce lo spirito».
Al di là di tutta l’articolata organizzazione comunitaria, provinciale e internazionale che la Costituzione delinea, che è molto importante conoscere perché le comunità sono chiamate a vivere in comunione tra loro, con un respiro che travalica i confini degli Stati, i limiti delle lingue e le differenze delle confessioni religiose cristiane, mi ha molto colpita l’onestà intellettuale e umana di chi l’ha pensata e scritta, che traspira fin dalle prime battute che definiscono, prima di ogni altra cosa, i suoi stessi limiti. «La Costituzione non può definire nel dettaglio ogni aspetto della vita di Fede e Luce. Pertanto, nel caso in cui sorgano difficoltà di interpretazione circa il ruolo dei responsabili, le funzioni delle diverse entità o l’applicazione dell’autorità, si privilegerà la responsabilità collegiale rispetto a quella individuale, l’approccio democratico rispetto a quello autoritario, l’uguaglianza nei rapporti rispetto alla gerarchia e l’adempimento dei compiti in comunità piuttosto che individualmente». Ancora una volta la comunità e non l’individuo, il noi e non l’io: è questo che mi rende felice e orgogliosa di far parte di un movimento comunitario che certamente non è perfetto ma ha una gran voglia di camminare tra Maria e Marta. Tra spirito e carne.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 151, 2020
SOMMARIO
Editoriale
Nutrire talenti di Cristina Tersigni
Focus: Viaggio nell'arte
Il linguaggio dell’arte di Marta de Rino ed Eleonora Secchi
Metti da parte la fretta di Gianni Verni
Ferma lo sguardo di Cristina Tersigni
Estemporanea e personale di Giorgiana Tinazzo
Buongustaio dell’arte di Cristina Tersigni
Intervista
Il diritto a un libro vero di Giulia Galeotti
Testimonianze
Forse una ragione c'è di Stefano Nasuti
Dall'archivio
Un pomeriggio chiamato laboratorio di Francesca Polcaro
Associazioni
Museo per tutti di Cristina Tersigni
Fede e Luce
Noi, non io di Serena Sillitto
Spettacoli
Accarezzando insieme l'erba di Enrica Riera
Rubriche
Dialogo Aperto n. 151
Vita Fede e Luce n. 151
Libri
Il cuore è una selva di Novita Amadei
Il chiosco di Anete Melece
Malintesi di Bertrand Leclair
Un'esperienza personale di Kenzaburo Oe
Diari
Caro presidente Sergio Mattarella di Benedetta Mattei
Natura e musica di Giovanni Grossi