Non un linguaggio ma una vera e propria lingua, quella dei segni: dotata di una sua sintassi, di una propria grammatica, in grado di veicolare significati. Stupisce a volte scoprire che paesi diversi abbiano lingue dei segni differenti… ma è quel che capita proprio alle vere lingue, di modificarsi in base ai luoghi in cui si vive. Eppure la Lingua dei segni ha una storia difficile: strumento essenziale e istintivo tra persone sorde eppure spesso osteggiata da chi, guarda caso, sordo non è. Un po’ per il timore di esserne esclusi o, al contrario, con la pretesa di non includere sufficientemente. Ma rinunciarvi, anzi ostacolarla apertamente per quest’ultimo motivo, ha significato rendere inaccessibile per decenni una libertà espressiva essenziale. Lasciando così la persona sorda senza mezzi naturali per esprimersi.
Troviamo un prezioso e originale sguardo sulle alterne vicende di questa lingua, che hanno letteralmente segnato il mondo dei sordi, in Malintesi (2020) scritto da Bertrand Leclair ed edito da Quodlibet. «È la storia del figlio ribelle ma è anche la storia (di una famiglia) devastata dalla sordità e più precisamente dall’ostinazione di un padre a riparare l’errore inammissibile della lotteria genetica: un’assurdità, senz’altro un’assurdità». Attraverso il dramma singolare di una famiglia benestante, nella provincia francese degli anni Sessanta, Leclair narra le plurali, terribili e reali limitazioni vissute dalle persone sorde e le loro lotte per affermare la propria dignità attraverso l’utilizzo della lingua dei segni.
Che Leclair abbia vissuto in prima persona il movimento “tellurico” provocato dalla scoperta della sordità della propria figlia emerge potentemente fin dalle pagine del prologo: la sua storia di padre è certo il fulcro intorno al quale le vicende dei personaggi prendono vita davvero credibile, riuscendo a far emergere sentimenti, pensieri, emozioni fin dallo smottamento emotivo dell’istante della scoperta di una realtà inattesa, come la disabilità di un figlio. E quando il genitore sordo non è, cominciano anche i dilemmi per capire il giusto approccio comunicativo con lui. E potrà esser naturale il pensiero che l’opzione più inclusiva per lui sia quella di insegnarli a comprendere e comunicare con altri udenti senza l’ausilio di un interprete.
Al contrario di quanto si possa pensare (lo abbiamo scoperto anche ascoltando un intervento di un ragazzo sordo, figlio di genitori udenti oppure vedendo il bel cortometraggio di qualche anno fa, The Silent Child, cfr. OL n.142) la lettura labiale però è molto faticosa e non sempre praticabile. E anche l’eloquio di un sordo – soprattutto se lo è dalla nascita – sarà spesso difficile da comprendere. Trovandosi tra persone sorde poi, il segno sarà imprescindibile.
Così la vita di Julien Laporte, personaggio emblema di tante generazioni di sordi dalla nascita, scompagina le fortunate certezze del padre narrato. Il successo nel mondo imprenditoriale del personaggio di Yves Laporte – reduce della lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale nella quale si è distinto per coraggio e fortuna – e il suo ruolo di padre, autoritario e orgoglioso, sono i tratti che introducono alla terribile ostinazione con cui Yves affronta l’«assurda» sordità (nell’orizzonte atteso da Yves per sé e i suoi figli) del secondogenito Julien. Irrigidito nella volontà di riparare al “guasto” del figlio, Yves segue così i dettami dell’epoca e concentra tutti gli sforzi pedagogici sull’esclusivo insegnamento oralista, che prevede l’apprendimento della lettura labiale e l’educazione logopedica per educare all’espressione verbale; in questo contesto i segni sono banditi, considerati alla stregua di un imbarbarimento. Seguito anche dalla moglie Marie-Claude: nonostante fosse stata la prima in famiglia ad accorgersi della sordità del secondogenito e a cercarne una conferma medica, la donna, intrappolata da un ingenuo ma potente senso di colpa per la disabilità del figlio, si inchina totalmente alla volontà del marito assecondandone le richieste ossessive per l’istruzione, considerata sanante, di Julien. E gli altri figli, di conseguenza, non faranno che veder segnate le proprie vite, chi per un verso chi per un altro.
Comprensibile quindi la rivolta liberante del ragazzo compiuta nella maggiore età: maturata da quando, ragazzino solitario difficilmente compreso e spesso messo poco in grado di comprendere, vede due sordi comunicare con le mani e finalmente intuisce una diversa modalità di comunicare più efficace e libera per la sua invisibile condizione. Si mette così – di nuovo solo – alla ricerca di risposte per le sue tante inascoltate domande. Le trova in un punto difficilmente accessibile, proprio della biblioteca paterna, scoprendo la storia dei sordi negli ampi trattati enciclopedici studiati dal padre per affrontare la sfida della disabilità del figlio. Sfida sostenuta anche grazie alla fascinazione e identificazione di Yves con la figura del geniale inventore Alexander Graham Bell.
Bell che merita una finestra a sé: figlio di una donna sorda e marito di un’altra nella medesima condizione, Bell ha dedicato buona parte della sua vita alla ricerca sulla sordità. Il telefono, di cui ottenne il brevetto, era al centro dei suoi interessi di ricerca di mezzi che rendessero i sordi in grado di udire (con il paradosso che proprio il telefono divenne «l’apparecchio che per tutto il XX secolo ha contribuito a peggiorare l’isolamento dei sordi, fino all’invenzione degli SMS e di internet») e a questa dedicò il ricavo di premi e brevetti. Fu però il primo a proporre il divieto di matrimoni tra sordi, dando il via alla politica eugenetica di sterilizzazione dei nati in questa condizione negli Stati Uniti tra gli anni Venti e Trenta.
La difficile trama familiare narrata in Malintesi diviene così anche occasione per imparare qualcosa in più sulla storia dei sordi. Uno tra tutti il convegno del settembre del 1880, a Milano: qui, 164 delegati da diversi paesi del mondo – solo uno non udente – appartenenti a istituzioni educative specializzate, si riunirono per decidere quale sarebbe stato il futuro del loro metodo educativo. Fino ad allora, per quasi un secolo, il riferimento principale era stato quello utilizzato da l’Abbe de l’Epee: l’abate francese aveva sistematizzato in alcuni testi la codifica dei significati dei segni, dimostrando la possibilità che si potessero trasmettere concetti astratti e non solo concreti. Nonostante i risultati promettenti di questo approccio, proprio il convegno di Milano sancì il primato della “parola pura” dando priorità esclusiva al metodo, appunto, oralista e provocando una quasi insanabile frattura di cui ancora oggi tanti vivono le conseguenze. Si dovrà arrivare fino ai movimenti degli anni Ottanta infatti, perché la lingua dei segni riacquisti una dignità propria e venga utilizzata, almeno in Francia, nelle scuole pubbliche.
E di fratture sociali e culturali, affettive e psicologiche… Bertrand Leclair riesce a dare un quadro davvero profondo e coinvolgente anche grazie alla sua essenziale esperienza. Capace di toccare la complessità e la profondità del disagio di Yves e di riconoscerne allo stesso tempo le pesanti responsabilità, insieme a quelle del mondo pedagogico specializzato. La lettura del libro – avvincente e complicata per i diversi piani temporali che si alternano e per le suggestioni personali autentiche dell’autore che emergono nella storia romanzata – si fa anche preziosa occasione di riflessione sulle radicali visioni della sordità al tempo della tecnologia cocleare verso la quale molti, soprattutto sordi, mostrano scetticismo: in agguato infatti, l’ombra della tentazione di aggiustare qualcuno che non sente affatto di essere rotto.
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Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 151, 2020
SOMMARIO
Editoriale
Nutrire talenti di Cristina Tersigni
Focus: Viaggio nell'arte
Il linguaggio dell’arte di Marta de Rino ed Eleonora Secchi
Metti da parte la fretta di Gianni Verni
Ferma lo sguardo di Cristina Tersigni
Estemporanea e personale di Giorgiana Tinazzo
Buongustaio dell’arte di Cristina Tersigni
Intervista
Il diritto a un libro vero di Giulia Galeotti
Testimonianze
Forse una ragione c'è di Stefano Nasuti
Dall'archivio
Un pomeriggio chiamato laboratorio di Francesca Polcaro
Associazioni
Museo per tutti di Cristina Tersigni
Fede e Luce
Noi, non io di Serena Sillitto
Spettacoli
Accarezzando insieme l'erba di Enrica Riera
Rubriche
Dialogo Aperto n. 151
Vita Fede e Luce n. 151
Libri
Il cuore è una selva di Novita Amadei
Il chiosco di Anete Melece
Malintesi di Bertrand Leclair
Un'esperienza personale di Kenzaburo Oe
Diari
Caro presidente Sergio Mattarella di Benedetta Mattei
Natura e musica di Giovanni Grossi