Di pari passo con la ricerca di un maggiore realismo nella narrazione televisiva, anche la rappresentazione delle persone con disabilità in tv ha lentamente abbandonato i banali cliché e i pietismi tipici di un tempo, come spiega l’inchiesta di Superabile. Le case di produzione, quelle americane in prima fila, negli ultimi anni hanno reso il panorama delle serie tv molto interessante su questo tema.
Oltreoceano, infatti, il terreno seriale è sempre molto fertile: è da poco uscita su Netflix la terza stagione di Atypical, la serie con protagonista un ragazzo autistico che tenta (con successo) di mostrare le sfide relazionali di un adolescente e della sua disabilità, svelando i diversi punti in comune di entrambe le sue nature. Apprezzatissima dalla critica, riesce a descrivere con semplicità e realismo quelle che sono le sfide quotidiane di una famiglia atipica.
Più coraggiosa è stata invece la rete Abc, che dal 2016 propone al pubblico generalista Speechless, un’irriverente comedy sempre familiare, in cui il figlio maggiore, JJ, ha una paralisi cerebrale e può comunicare solo tramite uno speciale puntatore su una tastiera. L’aspetto inedito va ritrovato nell’ironia e nel cinismo con cui la famiglia (e lo stesso JJ) si rapporta con la disabilità, spunto per riflessioni tutt’altro che banali. Il pubblico non ha purtroppo premiato la serie, che è stata cancellata alla sua terza stagione per bassi ascolti.
Da segnalare inoltre, non tanto per la qualità ma per lo spunto iniziale, Special, una miniserie uscita la scorsa primavera sempre su Netflix. Semi-autobiografia dello sceneggiatore Ryan O’Connor, racconta del suo doppio disagio di persona omosessuale e con disabilità nel mondo lavorativo e relazionale. Pur di nascondere di avere una paralisi cerebrale infantile, Ryan sfrutta l’equivoco di un incidente stradale avuto poco tempo prima come causa della sua condizione, consapevole che per gli altri è più facile accettare una disabilità fisica rispetto a un ritardo mentale. Non è poi così fiction, anzi, è tristemente reale.
Quest’anno, persino la Rai ha raccolto la sfida, lanciando Ognuno è perfetto: una fiction in sei puntate dedicate alle rocambolesche vicende di Rick, un ragazzo con sindrome di Down che trova lavoro in una cioccolateria, dove conoscerà un gruppo di ragazzi simili a lui. Sebbene i difetti tipici della fiction si riaffaccino frequentemente nella miniserie, ci piace vedere l’aspetto nobile di questa iniziativa, ovvero quello di sensibilizzare il pubblico generalista su tematiche spesso taciute in tv: la ricerca di un lavoro, l’affettività e l’indipendenza delle persone con disabilità, raccontate in una chiave romanzata ma verosimile. La fiction dello scorso Natale va ad aggiungersi ad una serie di iniziative televisive che suggeriscono un crescente interesse sul tema della disabilità: la riproposta di Hotel 6 stelle – reality che racconta lo stage formativo di un gruppo di persone con sindrome di Down in un albergo di Villasimius –, il nuovo programma di Paola Severini Melograni O Anche No, dove si cerca di sfatare alcuni luoghi comuni, e la miniserie Il Corpo dell’Amore, dedicata all’affettività delle persone fragili (ne parliamo qui).