Aveva ragione la regista Emma Dante, quando diceva che respirare con le mascherine ci dava consapevolezza di non essere sani, pur non essendo malati. Per undici giorni la 77ª Mostra del Cinema di Venezia è stata il primo grande evento internazionale in presenza nell’epoca della pandemia; affinché si potesse svolgere in completa sicurezza è stato necessario implementare un vasto sistema di regole sanitarie, tra cui l’uso obbligatorio della mascherina durante la visione dei film e anche in alcune aree all’aperto. Altro cambiamento importante, l’obbligo della prenotazione del posto in sala per tutti gli accreditati. Il sistema ha funzionato bene, anche se in maniera inutilmente più macchinosa per chi usava una sedia a rotelle: tutte le sale risultavano accessibili alle persone con disabilità, ma per prenotare i posti era necessario inviare una email e attendere risposta, anziché scegliere il posto nella piantina con un paio di clic come poteva fare chiunque altro.
La novità principale è stata sicuramente la scomparsa dalla vista del tappeto rosso, nascosto da una specie di barriera: le poche star presenti non hanno potuto sfilare davanti al solito pubblico di appassionati. È stata un’edizione con meno lustrini e feste, molto più attenta alla promozione dei film. Poco coraggiosa la vittoria di Nomadland: una pellicola amata dalla critica straniera, che però ha lasciato qualche dubbio sulla maniera non troppo approfondita in cui ha raccontato la vita dei nuovi nomadi, costretti a girare per gli Stati Uniti in cerca di lavoro, anche perché non sempre ha funzionato a dovere l’integrazione tra le persone reali e l’attrice professionista Frances McDormand.
La regista Chloé Zhao ha vinto il Leone d’Oro in un anno in cui la presenza femminile è stata più consistente del solito. Osservando tutte le sezioni della Mostra abbiamo riscontrato che anche altre categorie sotto rappresentate hanno avuto più visibilità del solito. È, in particolare, il caso di Oaza, film serbo interamente girato all’interno di un istituto per persone con lievi disabilità mentali in cui gli ospiti stessi si sono trasformati in attori, interpretando una complessa vicenda sentimentale inventata ma verosimile con una sincerità che solo loro avrebbero potuto donare ai personaggi.
Altrettanto intensa è stata l’interpretazione di Maisie Sky nel pluripremiato Listen: a una bambina figlia di immigrati portoghesi nel Regno Unito si rompe l’apparecchio acustico, che i genitori non possono ricomprarle, e sulla sua schiena compaiono dei misteriosi lividi; i servizi sociali si mettono in azione, inizia una lotta angosciante tra i genitori, cui vengono tolti i tre figli, e la burocrazia britannica incapace di garantire ai bambini le cure di cui avrebbero bisogno. Anche Greta Thunberg, nel documentario Greta, affronta tra gli altri il tema della Sindrome di Asperger che spesso viene usata per attaccarla: per la ragazza svedese, il cui attivismo è stato vissuto da tutta la famiglia Thunberg come una sorta di terapia, proprio l’Asperger invece può averla aiutata a capire lucidamente l’importanza e l’urgenza della lotta ai cambiamenti climatici.
In ambito documentaristico, si è fatto notare Final Account che, diversamente da tanti altri film sui crimini del nazismo, intervista ex nazisti che pur senza ruoli di comando sono comunque stati parte più o meno attiva e convinta dell’ingranaggio che ha portato alla morte di milioni di innocenti. Se il male compiuto dalle persone comuni fa paura, come porsi di fronte a quello commesso da chi viene considerato “pazzo”? La dottoressa Lewis, intervistata in Crazy, Not Insane, da anni sta studiando i casi dei condannati a morte negli Stati Uniti, rilevando che non è mai la malattia mentale in sé a creare un criminale, ma sono quasi sempre le molestie e gli abusi subiti nel passato a rendere carnefici coloro che prima erano stati vittime. Anche Gianfranco Rosi, che ha viaggiato per tre anni per raccontare il Medio Oriente di oggi nel suo bellissimo Notturno, a Baghdad si è imbattuto in un istituto psichiatrico; gli è stato impedito di filmare i pazienti, tranne quelli che fanno terapia attraverso il teatro, e la loro rappresentazione sulla storia mediorientale è diventata il filo rosso di tutto il film.
Tra le opere che meglio hanno cercato di rappresentare le fragilità dell’infanzia, l’iraniano Khōrshīd ci ha fatto conoscere una scuola di Teheran che, usando finanziamenti privati, prova a dare un’istruzione e un futuro ai bambini di strada costretti a lavorare sin da piccoli. Si trova invece a New York, ma senza averla mai vista, la bambina protagonista di Topside che ha sempre vissuto nei tunnel sotterranei della città assieme alla madre e sarà costretta con tanta paura a scoprire cosa c’è in superficie a causa di uno sgombero. Una dolce bambina cinese è uno dei personaggi cardine di The Best is Yet to Come, che ricostruisce l’inchiesta giornalistica che rese pubbliche le pesanti discriminazioni, a scuola e sul lavoro, cui erano soggetti i malati di epatite B in Cina.
Non sono infine mancate le opere capaci di farci riflettere sugli eventi storici: in particolare Quo vadis, Aida? ci ha riportato, attraverso gli occhi di una donna, alla strage di innocenti di Srebrenica del 1995, ma anche la Russia pre e post sovietica è stata protagonista con la strage del Teatro Dubrovka del 2002 in Koferenstsyia e soprattutto con il nuovo film del maestro Konchalovsky che in Dorogie tovarišči ha ricostruito il massacro di Novoerkassk del 1962.
Un ultimo film merita una citazione: The Man Who Sold His Skin che ha trasformato la vera vicenda dell’uomo che si fece tatuare nella schiena un’opera d’arte da esporre nei musei, nella storia fittizia di un profugo siriano che non può spostarsi in Europa come essere umano, ma può farlo quando diventa un’opera d’arte vivente. In un anno in cui l’arte cinematografica si è potuta riversare a Venezia ma molte persone no, che questo paradosso possa essere di buon auspicio per una prossima Mostra del Cinema più partecipata, ma sempre attenta a temi e provenienze geografiche eterogenee.
Gli altri film di Venezia 77:
Oaza di Ivan Ikić
Listen di Ana Rocha de Sousa
The Man Who Sold His Skin di Kaouther Ben Hania
Final Account di Luke Holland
The Best Is Yet To Come di Wang Jing