Cinema e disabilità: i 3 film di Claudio Cinus
Abbiamo chiesto ad alcuni critici cinematografici di elencare 3 film che affrontano il tema della disabilità. Claudio Cinus, appassionato cinefilo, ha scelto questi.
Claudio Cinus
Ha sempre pensato che se la sua vita fosse un film, sarebbe diretto da Tsai Ming-liang: uno di quei “noiosi” film taiwanesi in cui non succede nulla per minuti e minuti… Guarda così tanti film che quando ha qualche ricordo, non distingue più i suoi veri ricordi dalle sequenze dei film che ha visto.
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Indice Cinema e Disabilità
Introduzione
Gli altri siamo noi di A De Simone
3 Film secondo
Federica Aliano
Claudio Cinus
Alessandro De Simone
Adriano Ercolani
Andrea Guglielmino
Gabriele Niola
Emilio Ranzato
Emanuele Rauco
Enrica Riera
Valerio Sammarco
Giorgia Sdei
Boris Sollazzo
Edoardo Zaccagnini
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I migliori anni della nostra vita
(The Best Years of Our Lives, USA, 1946, durata 172 minuti) – Regia di William Wyler. Con Fredric March, Myrna Loy, Dana Andrew, Teresa Wright, Virginia Mayo.
Qualche settimana fa un articolo della rivista Variety si interrogava sulla cronica mancanza di attori con disabilità tra quelli nominati agli Oscar, nonostante i personaggi con una qualche forma di disabilità siano una categoria particolarmente premiata dai giurati. Solo in due hanno abbattuto questa barriera; il primo fu Harold Russell, premiato nel 1947 come non protagonista del film dominatore di quella edizione, I migliori anni della nostra vita (1946). Si racconta il ritorno alla vita civile di tre veterani, e Russell – che aveva perso entrambe le mani in un incidente in un campo di addestramento durante la Seconda Guerra Mondiale – era uno dei tre, unico attore non professionista scelto dal regista William Wyler, che gli affidò il ruolo più difficile, quello di chi deve portare le ferite visibili nel corpo e quelle invisibili nell’anima. Nella pellicola il momento del ritorno a casa, in cui Homer Parrish/Harold Russell non ha il coraggio di abbracciare la sua fidanzata perché ha due uncini al posto delle mani, è toccante perché realistico. Ma reale è anche la forza di volontà con cui il personaggio affronta positivamente il reinserimento sociale e familiare, come lo stesso Russell fece nella vita. Quell’anno, infatti, ricevette un secondo Oscar onorario per la speranza che la sua interpretazione aveva infuso in tanti altri reduci di guerra.
Mary and Max
(Id., Australia, 2009, durata 93 minuti) – Regia di Adam Elliot. Con Barry Humphries, Bethany Whitmore, Toni Collette, Philip Seymour Hoffman, Eric Bana, Renée Geyer, Ian Meldrum.
Ispirato a una storia vera, ma girato nel più irrealistico dei modi, in animazione con la tecnica dello stop motion: un rapporto epistolare nato per caso, durato più di vent’anni, tra una ragazzina australiana timida e impacciata e un uomo newyorchese affetto dalla Sindrome di Asperger. Nonostante i colori cupi siano perfetti per raccontare le difficoltà umane di entrambi i protagonisti, è un’opera piena di umanità: pur trovandosi in continenti diversi, pur appartenendo a generazioni diverse, pur avendo gravi problemi relazionali con le persone che li circondano, attraverso la magia della parola scritta – che chiede impegno e costanza ma dona una gioia non replicabile – i protagonisti riescono ad aiutarsi l’un l’altro superando i momenti più difficili delle rispettive esistenze. È il primo lungometraggio di Adam Elliott, che ha reinventato sapientemente la sua vera relazione epistolare di lunga data con un amico di penna autistico.
La forma dell’acqua
(The Shape of Water, USA, 2017, durata 123 minuti) Regia di Guillermo Del Toro. Con Sally Hawkins, Michael Shannon, Richard Jenkins, Doug Jones, Michael Stuhlbarg, Octavia Spencer.
I mostri del cinema horror classico simboleggiavano quasi sempre qualcosa di negativo. Guillermo Del Toro, con un personaggio volutamente ispirato all’iconico mostro della laguna nera degli anni Cinquanta, ha ribaltato il concetto: il mostro è senza colpe, è un diverso, reso prigioniero e maltrattato da esseri umani che non hanno scrupoli né alcun rispetto per lui. Il mostro, non a caso, viene prima avvicinato e poi persino amato da un altro personaggio che rappresenta una diversità: Elisa Esposito, la donna affetta da mutismo interpretata da Sally Hawkins. Elisa è indipendente, ha un lavoro con cui si mantiene e alcune amicizie preziose; ma è anche una sognatrice che compensa una vita scevra di soddisfazioni con la magia della finzione dei film. La sua disabilità, però, diventa una delle chiavi fondamentali per entrare in contatto con la creatura: nessuno dei due, infatti, ha bisogno di parlare per riuscire a esprimersi compiutamente, soprattutto nel rapporto reciproco. La libertà che lei dona alla creatura è speculare alla libertà che la creatura dona a lei: la libertà di potersi sentire davvero felice in un mondo che l’ha sempre marginalizzata. La pur assai eccentrica relazione tra i due è un inno alla forza con cui la comprensione reciproca permette di opporsi agli schemi rigidi e discriminatori della società: non a caso, tutti gli eroi del film – in qualche modo discriminati – danno un senso alla loro vita aiutandosi l’un l’altro. Una favola con un finale aperto, che ricorda come tutti abbiano diritto di vivere i propri sogni.
Speciale Cinema e disabilità
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