Ho conosciuto Anna Claudia Cartoni tanti anni fa. Era la sorella di un mio amico, Roberto (per gli amici Robi), affetto da autismo che frequentava con me gli scout del Roma 24. Abbiamo passato tanti anni insieme nel gruppo: frequentandoci, come capita tra amici, abbiamo conosciuto la sua famiglia, i genitori, la mamma affettuosissima e le due sorelle. Con gli anni poi con Robi ci siamo un po’ persi di vista; incontravo spesso però la madre che abita vicino a me, e da lei seppi della nascita di Irene, figlia di Anna Claudia, e delle sue condizioni critiche di salute… Così ho seguito un po’ da lontano il difficile percorso che la bimba e i genitori stavano vivendo. Ci siamo poi risentite con Anna Claudia, perché, come succede in questi casi, tra mamme – chissà perché – ci si ritrova in qualche modo e, anche se non ci si conosce bene, ci si cerca di aiutare. Da me, mamma di Caterina, voleva un consiglio sulla scuola dove iscrivere Irene; perché dopo tanti anni, lei e il papà avevano deciso che fosse il momento per la piccola di frequentare la scuola. Sono contenta che abbiano trovato una primaria funzionante e accogliente.
Qualche tempo fa sono andata alla presentazione del libro di Anna Claudia, Irene sta carina – Una vita a metà (Harpo 2020): è stato bello sentire le testimonianze di chi ha conosciuto questa fragile e travolgente bambina. Sentire chi ha visto cambiare la propria vita e le proprie prospettive a contatto con lei: insegnanti, compagne di scuola, terapiste e amiche. E adesso, con questo libro tra le mani, con timore e senso di profondo rispetto per tutto quello che viene raccontato, provo a presentarvelo.
Leggere questo libro è come scalare una montagna, con fatica e quel senso di peso e mancanza di respiro, che ti prende quando il sentiero è impervio e sconosciuto. È entrare nel vivo, nella vita di Anna Claudia e Fernando stravolta, dall’arrivo della piccola Irene. “Iron”: per tutte le battaglie che dovrà affrontare. Fragile ma allo stesso tempo attaccata alla vita con una forza infinita.
«C’è un problema», così inizia il libro di Anna Claudia. Una frase pronunciata in gravidanza dal suo ginecologo. Una frase che fa cadere sulla vita della coppia un macigno. La piccola Irene ha un problema: una malformazione addominale che richiede alla nascita un delicato e pericoloso intervento chirurgico. Lei non è ancora nata ma già inizia questa storia che lega madre e figlia in un percorso di ansie, paure, dolore e di tanta misteriosa profonda complicità.
Gli ostacoli però non si esauriscono nel primo difficilissimo intervento: a nove mesi dalla nascita Irene ha un drammatico arresto cardiaco che fa di nuovo sprofondare tutto e tutti in un tunnel buio e faticoso.
Sono pagine coinvolgenti e drammatiche, piene di emergenze continue, di corse frenetiche che non danno il tempo per riposare e godere un po’ dell’arrivo di una figlia. I primi due anni di vita di Irene sono trascorsi tra diversi reparti di terapia intensiva: «Vivere in un reparto di terapia intensiva fa sentire più vicino alla morte, perché lei è sempre lì con te… si galleggia in un limbo fluttuante tra una “non vita” e una “non morte”». Il reparto diventa anche una seconda casa, “un grembo materno” una casa che accoglie, con tutti i grandi dolori che accompagnano la vita dei suoi piccoli pazienti e delle loro famiglie.
L’eccitazione e la gioia per la nascita di un figlio non riguardano Anna e Fernando. I primi mesi sono pieni di preoccupazioni e paure per ciò che è caduto addosso alla piccola e alla loro vita. Soltanto una frase li fa respirare un pochino in quei due anni, ed è quella con cui, a volte, li accolgono la mattina gli infermieri e medici dei reparti, al loro ingresso in ospedale: «Irene sta carina». Una frase che gli fa riprendere fiato, perché vuol dire che le notizie per quel giorno non sono cattive. È coraggiosa e sincera Anna Claudia a tirare fuori tutto l’amore, la sofferenza e il dolore che passa da Irene a lei, e viceversa. Ma come lei stessa dice «di dolore non si muore». E insieme al papà, combattono tante battaglie, affrontano tante sfide, riconsolati dal sorriso luminoso di Irene che li accoglie ogni giorno di quei lunghi anni. Per Anna stringere tra le braccia Irene è l’unico momento in cui si sente in pace con se stessa e con il mondo. In quell’abbraccio «ogni pensiero sulla disabilità si scioglie come la neve al sole… imparo da Irene a vivere concentrandomi solo sul presente».
Non ha paura questa mamma ad affrontare anche difficili questioni morali sulla vita e il senso che questa debba avere per i figli con gravi patologie e per le famiglie chiamate ad accudirli. Si interroga Anna Claudia su un altro possibile futuro con onestà e coraggio: se avesse saputo della drammaticità della situazione, avrebbe continuato la gravidanza? Allo stesso tempo si chiede se il sistema sanitario non sia troppo concentrato sul risultato clinico di un intervento delicato, non informando a sufficienza i genitori sulla qualità della vita del dopo. «Spesso mantenere in vita non è sinonimo di dare la vita».
Ma la sua esperienza non è stata inutile: Anna Claudia da qualche anno viene coinvolta in incontri mensili nel reparto di terapia intensiva che ha seguito Irene; chiamata ad esprimere un parere su un caso o su un altro, su una cura e su un’altra di piccoli pazienti, chiamata dai medici che vogliono aggiungere il parere di un genitore, alle riflessioni tecniche e mediche.
Il libro è anche una accusa al sistema burocratico, della nostra società, che ruota attorno alla disabilità e il più delle volte la ostacola; una burocrazia fatta da tutti quei cavilli che impediscono la piena realizzazione di una vita dignitosa. Diritti negati, lotte estenuanti per farli rispettare, file e attese lunghissime in uffici per ottenere qualche piccolo aiuto alla complicata vita di una famiglia con disabilità. L’integrazione scolastica, ben chiara sulla carta, è affidata, spesso, solo alla buona volontà delle singole insegnanti, a volte neanche formate per un lavoro così impegnativo.
Questo e tanto altro è racchiuso in questo piccolo grande libro, coraggioso, forte e pieno di sofferenza ma anche di tanto amore. Come quello che ha fatto abbracciare a Anna e Fernando una nuova sfida: portare Irene con tutte le sue difficoltà in montagna, un ambiente che i suoi genitori amano molto. Grazie alla scoperta di uno strano attrezzo, la Joelette, Anna e Fernando possono condividere con la loro Irene, l’ebbrezza «del vento in faccia, della velocità». Con questo strano mezzo sfidano la montagna, partecipano alla Corsa di Miguel, grazie al coinvolgimento e all’aiuto di tanti atleti che si avvicendano per spingere questa “carrozza” di Irene e di tanti altri ragazzi con gravi patologie, per renderli partecipi un pochino «della vita degli altri».
Irene sta carina nasce dalle pagine del diario che Anna Claudia ha voluto scrivere in quei primi due lunghissimi anni, per trattenere tutti i ricordi felici e dolorosi. E il risultato è coinvolgente: sono pagine piene di momenti di ansia, dolore, sofferenza, e anche gioia (il momento di tornare a casa). E a chi legge sembra di essere lì con loro.
Paradossalmente il libro è un inno alla vita, anche per chi la vita sembra viverla solo “a metà”, per tutto quello che non ha e non può avere; Anna Claudia e Fernando hanno dato e donano ad Irene tutti i giorni «l’altra metà della vita». Consapevoli probabilmente che, come diceva Luciano De Crescenzo, «siamo angeli con un ala sola e possiamo volare solo restando abbracciati».
Per noi genitori la tentazione, nel guardare la vita “degli altri”, è spesso quella di cercare quello che non si ha, e quello che i nostri figli più fragili non potranno essere o avere, rispetto ai propri coetanei e noi genitori rispetto agli altri; questo libro ci insegna a guardare “la metà” della vita che si ha, e che è forse la metà più vera e importante. Quella metà conquistata con tanti sacrifici, lotte e percorsi tortuosi che però ti fa sorridere per cose semplici; un sorriso, un respiro che non è più affannoso, una giornata passata senza intoppi.
Un ringraziamento speciale ad Anna Claudia per il coraggio di avere messo a nudo i suoi sentimenti, un abbraccio anche a Fernando che, come tanti padri, è rimasto a fianco ad Anna Claudia nelle sue battaglie. Lo immagino silenzioso, più arrendevole e pronto a sciogliersi tra i sorrisi e gli abbracci di Irene. E un ringraziamento speciale ad Irene “Iron” così attaccata alla vita, nonostante tutte le privazioni che questa le ha dato; a Irene che si illumina di un sorriso, per una canzone cantata dal suo papà o dai suoi compagni di classe e che ci dà un grande insegnamento: basta a volte stare vicino a chi ci ama per sentirsi bene. Perché camminare su salite impervie e sconosciute toglie il respiro. Ma, quando ti puoi fermare a guardare la strada fatta, la bellezza del panorama conquistato ti ridà forza e coraggio. A chi legge e, credo, anche a chi ha scritto.
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