I santi ritratti nelle chiese sono quasi tutti bianchi. Era così anche nella Church of the Advocate, una grande chiesa episcopale di Filadelfia eretta nel 1887. Il quartiere in cui si trova, però, è oggi abitato in prevalenza da persone di colore. E così, per compensare la presenza sulle grandi vetrate storiche di personaggi esclusivamente bianchi, la chiesa è diventata anche una sorta di museo di arte contemporanea grazie alla collezione di quattordici murali realizzati da Walter Edmonds negli anni Settanta che raffigurano l’esperienza della comunità nera negli Stati Uniti.
Già questo aspetto così particolare della chiesa fa capire agli spettatori del film Angels on Diamond Street (2019) che ci troviamo all’interno di una congregazione che non ha mai avuto paura di sporcarsi le mani con la politica. L’altro ambiente in cui si muove la regia di Petr Lom, infatti, è l’Advocate Cafe situato proprio di fronte alla chiesa, che ogni giorno feriale offre il pranzo ai bisognosi, quasi tutti afro-americani.
Ma l’apertura verso il prossimo va ben oltre il colore della pelle. Vi collabora infatti Carmela Hernadez, una donna messicana, cui è stata offerta ospitalità, fuggita dal suo Paese assieme ai quattro figli per evitare di restare vittima di violenza, chiaramente priva del permesso di soggiorno e pertanto a rischio deportazione. Ben pubblicizzata, la loro presenza è una forma di disobbedienza civile manifesta: è noto a tutti che quel tipo di accoglienza è un reato, ma nessuna paura riesce a fermare una comunità che ha fatto della solidarietà nei confronti dei deboli e degli indifesi la propria ragion d’essere.
Anzi, una paura c’è: quella economica, perché anche aiutare il prossimo ha un costo. La comunità, però, affronterà unita anche questi problemi. Angels on Diamond Street è una storia di resistenza e di speranza da parte di chi lotta concretamente per rendere il mondo un posto migliore.
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