C’è un bambino in grado di volare: più si eleva, più appare strano agli occhi di chi rimane a terra. Un bambino che suscita quasi paura, oltre a molta incredulità, in suo padre, timoroso del giudizio degli altri genitori, i cui figli fanno cose considerate normali, tra le quali non figura di certo la possibilità di galleggiare nell’aria. È in Float (2019), emozionante cortometraggio di Pixar Animation Studios, attualmente disponibile in Italia sulla piattaforma streaming Disney+, che viene raccontata questa storia che ha che fare con la disabilità e che, in nove minuti, riesce a far luce con delicatezza e serietà su di essa, sulle preoccupazioni di un padre ritrovatosi da solo con un figlio che vuole soltanto essere accettato per ciò che è.
Sullo schermo va, dunque, in scena l’immagine animata di un rapporto che non è per niente semplice: il padre si nasconde in casa col bambino, non vuole che il mondo circostante sappia, conosca quel “saper volare” che verrebbe subito etichettato come una diversità bella e buona, una cosa stramba, un fatto di cui spaventarsi. «Perché non puoi essere normale?», domanda, nel momento cruciale del corto, il padre al bambino, ma è proprio allora che si arriva al punto di non ritorno di un legame spinoso, difficile. È, così, al parco, davanti a tutti – vicini, conoscenti, amici da cui sempre si era nascosto – che il padre, grazie all’innocente e candida reazione del figlio, capisce, prende coscienza una volta per tutte, trasforma la rabbia in accettazione.
Il finale è insomma come quello di una fiaba moderna, ma tutt’altro che banale, semplicistico o moralistico: solo quando, con amore incondizionato, intelligenza e responsabilità, ci si libera dai pregiudizi si diventa consapevoli del fatto che pure in due si può volare. Il figlio ha un talento naturale nel farlo; al padre, invece, basterà un’altalena per fluttuarvi insieme, per avvicinarvisi, per fare meglio. Parola di Bobby Alcid Rubio (Hercules, Atlantis, Gli incredibili 2), autore e regista di Float, papà di un bambino con autismo, e che, quindi, dalla sua storia personale, trae spunto. «Ad Alex. Grazie perché mi rendi un papà migliore. Dedicato con amore e comprensione a tutte le famiglie con figli considerati diversi», è, non a caso, la frase che chiude questo piccolo e intenso gioiello cinematografico.
E sempre su Disney+ è anche rintracciabile Loop (2020), il corto di undici minuti, parimenti prodotto da Pixar nonché scritto e diretto da Erica Milsom (Cars 3: Legendary, So Much Yellow, Snow Day), il quale, come è evidenziato sulla stessa piattaforma streaming, «apre nuovi orizzonti col primo personaggio autistico» della casa di produzione appartenente alla Walt Disney Company.
Renè è un’adolescente, ed è nello spettro autistico. Un giorno, al campo estivo che frequenta, l’istruttore sportivo fa in modo che possa socializzare, uscendo in canoa con un suo coetaneo abbastanza loquace, Marcus. Il ragazzo, in un primo momento, è restio a questa idea (perché dovrei uscire con «la ragazza che non parla?», si chiede), ma, dopo poco, acconsente e sale sulla canoa insieme a Renè che, sì, non dice una parola e manda, reiteratamente, in loop appunto, la fastidiosa suoneria del suo iPhone. A seguito di una serie di peripezie, i due rimangono persino bloccati alla deriva del lago, il telefono della giovane va perduto nell’acqua e senza quel suono, quella ripetitività a cui è così abituata, Renè inizia ad agitarsi: è soltanto con l’aiuto di Marcus, che lo riprodurrà con la propria voce, che le cose torneranno a posto. Anzi, andranno meglio. La gita al lago segnerà, infatti, l’inizio di una bellissima amicizia tra i ragazzi.
Un’amicizia che diventa e può dirsi tale perché – è questo il messaggio centrale di Loop – si basa sullo sforzo condiviso di guardare il mondo con gli occhi dell’altro e di capirne bisogni ed esigenze; ma, ancora, pure su un inedito modo di comunicare, assolutamente lontano da qualunque inutile preconcetto, capace di abbattere i muri dell’indifferenza e del mancato dialogo.
«Alle tre canoa?» è il testo del messaggino che, prima dei titoli di coda, Renè riceve da Marcus, rigorosamente sull’iPhone dalla famosa suoneria, recuperato dalle acque profonde e immerso in una bacinella di riso soffiato. Loop, dedicato alla memoria del regista di film d’animazione Adam Burke, è, pertanto, un esempio d’empatia, distante dalla retorica compassionevole o ipocrita, dall’incasellamento in cristallizzate categorie. Come a dire che nel cortometraggio ci sono solo due ragazzi, loro non pensano proprio a classificarsi in fredde diciture, «neurotipico», «normodotato», «atipico» e così via; piuttosto prendono la canoa e insieme navigano avvicinandosi al punto in cui con il palmo della mano possono accarezzare l’erba alta che cresce vicino all’acqua.
Sia di Float sia di Loop la visione è, dunque, consigliata per lo sguardo profondo e mai superficiale che gettano sulle persone con disabilità. In entrambi i corti, realizzati per il progetto Sparkshorts con cui Pixar cerca di scoprire nuove tecniche e talenti nell’ambito dell’animazione digitale, non si riscontra, come già si è detto, alcun tipo di semplificazione. Nonostante si tratti di shortfilms, di prodotti d’animazione per cui, in genere, ci si aspetta una sorta di “leggerezza”, il punto forte degli stessi sta nel mostrare anche e soprattutto il lato amaro (il padre che non riesce ad accettare il figlio con disabilità; Renè che viene isolata dai suoi coetanei e con la quale non è facile interagire), le reali difficoltà, i pregiudizi contro cui ci si imbatte nel corso del proprio cammino, sottolineando al contempo che una “soluzione” esiste, che si può superare tutto a testa alta. È un qualcosa di raro, è sempre più raro, cioè, che temi di questo tipo vengano in primis proposti e in secundis narrati così bene.
Basti pensare ad Atypical (2017), la serie televisiva statunitense creata da Robia Rashid per Netflix e diretta da Seth Gordon, dove la disabilità viene trattata con eccessiva faciloneria. Certo, in questo caso non si hanno davanti a sé personaggi animati, bensì in carne ed ossa, quindi il parallelismo coi due corti potrebbe sembrare azzardato; tuttavia, il divario, in quanto a spessore e accuratezza, emerge in modo manifesto. Atypical, la cui quarta stagione è attesa per il 2021, presenta troppi stereotipi e fa sorgere molti dubbi e riflessioni: è necessario accentuare il lato comico (repetita iuvant: il lato comico, non ironico) dei personaggi per poter parlare di disabilità? Sam, il protagonista con autismo, per avere ragione d’essere deve per forza venire circondato da persone che, tramite ciò che dicono e fanno, risultano irreali? E poi, sebbene questa serie abbia comunque il merito di essere tra le poche a parlare di disabilità, perché, nella sua prima stagione, non ha inserito nel cast neanche una persona con autismo?
Tutto questo vale a significare che la differenza tra i corti succitati e la serie non sta, in definitiva, nelle caratteristiche tecniche (in Atypical c’è, se non altro, una strepitosa Jennifer Jason Leigh), ma nel modo con cui a certe tematiche ci si approccia. Così, può succedere che pure in meno di quindici minuti – vedi alle voci Float e Loop –, grazie alla comprensione profonda dell’altro, a una buona dose di sensibilità e senza aver bisogno di edulcorare i fatti, si dia vita a un racconto pienamente maturo, capace di rappresentare le ombre e le luci, l’amaro e il dolce della disabilità, della vita reale.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 151, 2020
SOMMARIO
Editoriale
Nutrire talenti di Cristina Tersigni
Focus: Viaggio nell'arte
Il linguaggio dell’arte di Marta de Rino ed Eleonora Secchi
Metti da parte la fretta di Gianni Verni
Ferma lo sguardo di Cristina Tersigni
Estemporanea e personale di Giorgiana Tinazzo
Buongustaio dell’arte di Cristina Tersigni
Intervista
Il diritto a un libro vero di Giulia Galeotti
Testimonianze
Forse una ragione c'è di Stefano Nasuti
Dall'archivio
Un pomeriggio chiamato laboratorio di Francesca Polcaro
Associazioni
Museo per tutti di Cristina Tersigni
Fede e Luce
Noi, non io di Serena Sillitto
Spettacoli
Accarezzando insieme l'erba di Enrica Riera
Rubriche
Dialogo Aperto n. 151
Vita Fede e Luce n. 151
Libri
Il cuore è una selva di Novita Amadei
Il chiosco di Anete Melece
Malintesi di Bertrand Leclair
Un'esperienza personale di Kenzaburo Oe
Diari
Caro presidente Sergio Mattarella di Benedetta Mattei
Natura e musica di Giovanni Grossi