Cosa può rivelarci la disabilità su Dio e su noi stessi? È da questa domanda che può scaturire una teologia della disabilità. Una teologia che prende sul serio la disabilità come filtro interpretativo per capire meglio chi è la persona umana e chi è Dio.
Se vogliamo esaminare la disabilità teologicamente, è importante anzitutto porsi la domanda filosofica di cosa sia la disabilità, realtà che molti danno per scontata ma che invece può venir concepita in svariati modi a seconda di diversi modelli interpretativi. Tra questi, la disabilità vista come patologia medica da curare (il modello medico); la disabilità come creazione sociale scaturita dall’insieme delle barriere socio-strutturali che disabilitano le persone con difficoltà (il modello sociale); la disabilità come identità culturale che accomuna un gruppo impegnato per la propria emancipazione (il modello della minoranza). Questi modelli possono aiutarci a esaminare la disabilità teologicamente incarnando le domande nei vari strati che compongono la disabilità, da quelli individuali a quelli collettivi. Possono anche creare diversi percorsi teologici.

Uno sguardo veloce su come la disabilità sia stata approcciata teologicamente nel passato ci consente di capire come il pensiero antico influisca sulla riflessione attuale, spronandoci a porci domande per portare avanti la teologia della disabilità.
Nel mondo antico molti credevano che la disabilità fosse una punizione degli dei; i bambini considerati imperfetti venivano visti come errori da eliminare. Nella mitologia greca si narra del dio del fuoco Efesto che, forse nato zoppo (curioso che sia un dio a essere disabile!), venne gettato giù dal monte Olimpo dalla sua stessa madre, per poi venir salvato dalla sorella. Il pensiero filosofico classico, influenzato da Platone e Aristotele, enfatizzava la ragione come tratto distintivo tra la persona umana e il mondo animale. Quest’enfasi sulla ragione e sull’intelletto si riscontrerà anche nel discorso teologico dell’antichità e del medioevo, che ha avuto illustri esponenti come Agostino e Tommaso. Attenzione agli eccessi però: una visione dell’essere umano che mette troppo in evidenza la ragione a discapito di altre facoltà corre il rischio di mettere in dubbio l’umanità delle persone con disabilità intellettive. Non è il cuore, inteso come centro della persona in cui convergono le varie facoltà, a descrivere meglio l’essere umano nella sua identità e nella sua vocazione? Più di recente, particolarmente nel mondo anglofono, la riflessione teologica sulla disabilità si è sviluppata (anche in ambito ecumenico), prendendo spunto dalle immagini della Scrittura, ad esempio l’immagine del Cristo inclusivo crocifisso e risorto. Si pensi ad esempio alla teologia del Dio disabile proposta da Nancy Eiesland, alla teologia del Dio accessibile di Jennie Weiss Block e alla teologia della vulnerabilità di Tom Reynolds.

Il messaggio evangelico è un messaggio inclusivo, che invita all’accoglienza e alla condivisione del pane con l’altro. E il messaggio inclusivo continua a far parte della vita della Chiesa. L’approccio verso le persone con disabilità è spesso stato di ospitalità, anche se è mancato l’equilibrio della reciprocità, come se la persona con disabilità fosse esclusivamente povera, bisognosa delle attenzioni altrui e non in grado di dare agli altri un contributo personale. Movimenti come Fede e Luce e L’Arca ci ricordano quanto sia importante che nelle relazioni tra persone con e senza disabilità ci sia un dare e un ricevere, scoprendo quanto ognuno abbia i suoi doni, i suoi punti di forza e le sue vulnerabilità. Non solo: i concetti di abilità e inabilità sono realtà presenti in ogni individuo con o senza disabilità e possono aiutare a riequilibrare un discorso che troppo spesso è stato a sfavore della persona con disabilità come quella che non è e non ha mai abbastanza. Tutti noi abbiamo abilità, tutti noi abbiamo inabilità.
Anche anche se c’è ancora molto cammino da fare, le persone con disabilità hanno oggi maggiore accesso alla vita sacramentale e hanno spesso l’opportunità di essere membri attivi nelle loro parrocchie. Rimane però rilevante il bisogno di una teologia della disabilità, teorica e pratica, meno disabilitante.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 147, 2019

SOMMARIO

Editoriale
Chi cura le anime? di Cristina Tersigni

Focus: Spiritualità e disabilità
La Chiesa ci accoglie davvero? di Giulia Galeotti
Uno dei tanti di Roberto Brandinelli
Ma stai pensando a me? di Sergio Sciascia
Una dedica che andrebbe cambiata di Gianni Marmorini
Per una teologia meno disabilitante di Luca Badetti

Intervista
Lucrezia e il Marco di ieri e di oggi di Giulia Galeotti

Testimonianze
L'alfabeto che manca di Serena Sillitto

Dall'archivio
Cosa dirvi di più? di Stéphane Desmandez

Associazioni
Catalogo di prelibatezze di Enrica Riera

Fede e Luce
A metà tra un conclave e una seduta di autocoscienza di Serena Sillitto

Spettacoli
Il cantiere delle buone notizie di Alessandra Moraca

Rubriche
Dialogo Aperto n. 147
Vita Fede e Luce n. 147

Libri
La tua vita e la mia di Majgull Axelsson
Questa è bella! La storia di Rospella di Anna Sarfatti
Per tutti persone di Azione Cattolica Ragazzi
Amore caro di Clara Sereni

Diari
Sempre di Benedetta Mattei
Ogni tanto dobbiamo svagarci di Giovanni Grossi

Per una teologia meno disabilitante ultima modifica: 2019-10-28T16:22:06+00:00 da Luca Badetti

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