Per me Jean ha contato tanto. Veramente tanto. Era come un padre spirituale». Sono al Luna Park di Ostia, un posto molte volte incrociato ma mai veramente visto: se vi sono entrata per la prima volta, è grazie a Jean. Perché è qui che vive una sua grande amica, Geneviève Jeanningros. Francese, come lui ha profondi occhi celesti che si illuminano tutti quando sorride. E per fortuna questa Piccola Sorella di Gesù sorride spesso.
Dopo aver festeggiato nel 2018 i cinquant’anni di professione, la scorsa Pasqua suor Geneviève ha brindato al mezzo secolo di vita trascorso con gli artisti degli spettacoli itineranti tra Francia, Svizzera e infine Italia. Oggi lavora e vive al Luna Park di Ostia, con due sorelle – Anna Amelia (la prima suora giostraia della Penisola!) ed Emma – e dodici famiglie tra casette, carri e roulottes.
«Ho conosciuto Jean – mi racconta Geneviève – tanti anni fa, prima che il Chicco (la comunità dell’Arca di Ciampino) venisse fondato. Quando veniva a Roma, infatti, Jean passava alla nostra casa generale delle Tre Fontane e ci parlava: quello che diceva mi incantava perché era il vangelo, era semplice, era l’amore di Gesù, l’amore dei piccoli. Chiacchierai diverse volte con lui e così, quando ebbi un momento difficile, sorella Madeleine, la nostra fondatrice, mi disse: “vai da Jean a Trosly, lui ti aiuterà”. Andai, e vissi un mese alla fraternità dell’Hermitage». Dolcezza e fermezza: «Jean era pieno di tenerezza ma allo stesso tempo mi diceva chiaramente le cose. Però lui le cose le suggeriva, non voleva imporle. Da allora presi l’abitudine di andare ogni anno a fare un ritiro da Jean: a novembre chiudevamo e io ne approfittavo per trascorrere due settimane a casa dei miei e per andare a fare un ritiro di 8 giorni a Trosly. Poi ci siamo trasferite qui: non chiudevamo più, i miei genitori erano nel frattempo morti e smisi di andare. A ottobre però mi è arrivata una lettera: Jean mi diceva che avrebbe voluto rivedermi. Così decisi che sarei andata in gennaio, ma nel frattempo è stato ricoverato».
Un’amicizia ha senso solo se è reciproca: come suor Geneviève saliva a Trosly, così Jean veniva al Luna Park. E che lui fosse un amico dei giostrai lo conferma il signor Felice, capitato dalle Piccole Sorelle mentre sono con loro. «Di Jean abbiamo un bellissimo ricordo – mi dice – in un certo senso lo abbiamo vissuto. Era una persona eccezionale che sprigionava un’energia buona. Certo, c’erano problemi di lingua, però non ci sono stati mai problemi di comunicazione: le cose passavano! Se chiudo gli occhi, vedo ancora davanti a me questo gigante buono».
Chiacchierando, Geneviève mi mostra il carro in cui vive: è pulito, semplice, accogliente. Io mi commuovo spesso davanti alle persone, raramente al cospetto dei luoghi, ma quando entro nella parte più intima del caravan (come lo chiama lei), gli occhi mi si velano di lacrime: è la cappella con il Santissimo («Per noi è il centro. È Gesù»). Se esiste una Chiesa bella, se esistono persone bellissime, è anche grazie a posti così. Una cappellina che mi ricorda moltissimo la chiesetta a Trosly. Ed effettivamente, davanti a questo tabernacolo, realizzo che i punti di contatto tra le Piccole Sorelle e l’Arca sono moltissimi. «È vero – dice suor Geneviève – perché la spiritualità è la stessa: la spiritualità è Nazareth. Per questo è stato così facile l’incontro con Jean! E in parecchi Paesi le sorelle hanno aiutato l’Arca ad avviare le case: siccome erano più inserite, aprivano la strada. Al funerale di Jean, ad esempio, sono andata con una sorella che aveva aiutato la fondazione dell’Arca nelle Filippine».
Suor Geneviève, però, aveva fiutato l’Arca ancor prima di conoscerne il fondatore: «Era il 1968, stavo finendo il noviziato quando sentii dire che alcune assistenti dell’Arca, che erano molto stanche, stavano cercando un posto dove riposarsi. Siccome nel mio paese natale la casa parrocchiale era vuota da quando l’ultimo prete se n’era andato, chiesi al sindaco e organizzai la cosa». Del resto, già in famiglia Geneviève aveva sperimentato la difficoltà: «A causa di una malattia mia mamma restò paralizzata per 16 anni: avevo 4 anni e mezzo quando cominciò a non potersi alzare dal letto, forse anche questo ha facilitato il mio legame con l’Arca».
Io oso un po’, e le suggerisco che una “predisposizione” potrebbe averla ereditata dalla zia, Léonie Duquet. Consacrata delle Suore delle missioni estere Notre–Dame de la Motte, Léonie arrivò nel 1949 tra i poveri di Buenos Aires. Poco meno di trent’anni dopo, tra l’8 e il 10 dicembre 1977, sparì insieme alla consorella Alice Domon e altre donne, prelevata da emissari del regime. Suor Léonie, che aveva allora 61 anni, è stata infatti una dei circa trentamila desaparecidos rapiti, torturati e uccisi in Argentina a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Le due religiose, però, erano anche le tate di un bimbo con la sindrome di Down, dal padre tristemente famoso: il generale Videla. Questa storia di un criminale che oltre ad aver mandato a morte un numero impressionante di persone, non ha pietà nemmeno per coloro a cui suo figlio è particolarmente legato mi ha sempre colpito. Suor Geneviève mi rivolge uno dei suoi sorrisi profondi e luminosi prima di parlare: «In verità ho saputo che quando le due suore sono state catturate Videla ci è rimasto molto male. Avrebbe voluto farle uscire ma erano state troppo torturate ed era chiaro che dopo avrebbero parlato; quindi era tardi». Mi sta dicendo che Videla è stato meno cattivo di quanto io non creda? «Un pochino meno cattivo», chiosa la nipote di una delle vittime.
Il legame con l’Argentina ci riporta a un altro ospite venuto a trovare Geneviève al Luna Park: era il 3 maggio 2015 quando Bergoglio, durante una visita a Ostia, fece un’improvvisata agli amici delle giostre. «Papa Francesco mi fa tanto pensare a Jean – esclama suor Geneviève – penso che il loro sia lo stesso messaggio: questa vicinanza con la gente scartata, con le persone messe un po’ da parte. Questo mi aveva affascinato in Jean e questo mi affascina in Papa Francesco: l’amore di Gesù che si fa concreto. Perché Gesù è sì nell’eucarestia – e Jean pregava tanto – ma è anche nel povero. Nel profugo, nella persona con disabilità, nell’artista delle giostre».
Del resto, tutta la vita di Jean è stata un tentativo di abbattere i muri: quei muri genetici, politici, religiosi e razziali che ergiamo contro chi non conosciamo. E che per questo ci fa paura. «Jean è sempre stato di avanguardia. Penso ad esempio all’ecumenismo: perché una persona con handicap può essere cattolica, musulmana, ebrea, protestante, ortodossa ma è innanzitutto una persona. Ecco, Jean vedeva le persone».
Jean mi ha ripetuto spesso che quando avrebbe incontrato Dio gli avrebbe rivolto molte domande: secondo lei, quale è stata la prima? «Sicuramente questa: perché la sofferenza degli innocenti? Dei bambini? È una domanda per cui non c’è risposta. Quando un bambino soffre, quando un bambino muore, secondo me Dio piange».
Intanto mio figlio mi corre incontro: questa mattina siamo stati al funerale di Paolo Bertolini, il marito di Mariangela, la fondatrice di Fede e Luce in Italia, poi questo pomeriggio trascorso tra i giostrai e le giostraie di Ostia. Suor Anna Amelia gli regala uno dei sacchetti dei premi della loro pesca (che ha per tema l’Arca di Noè): tra le altre cose, Glauco tira fuori una collanina, che subito mi mette al collo. Sorride, insieme alle Piccole Sorelle del Luna Park. Io alzo lo sguardo: con gli occhi nuovamente velati di lacrime, ringrazio Jean per questo ennesimo dono.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 146, 2019
SOMMARIO
Editoriale
Uomo del Regno di Giulia Galeotti
Focus: Jean Vanier
Jean e il carro di Geneviève di Giulia Galeotti
Il coraggio di cambiare di Giulia Galeotti
Levatrice di cose nuove di Cristina Tersigni
Ci ha fatto vedere ciò che non avevamo ancora visto di Andrea Lonardo
Il tesoro nascosto nel campo di Cristina Tersigni
L’autista più illustre di Serena Sillitto
Il tuo ultimo soffio di Angela Grassi
Dall'archivio
Ritrovare la nostra umanità di Jean Vanier
Spettacoli
La tenerezza di Jean in un film di Anne Dagallier
Libri di Jean Vanier
Le grandi domande della vita
Ho incontrato Gesù, mi ha detto: "ti voglio bene"
La comunità, luogo del perdono e della festa
Larmes de silence
Diari
«Daje Benedetta», «Daje tu, bello!» di Benedetta Mattei
Come avrei voluto vederti più spesso di Giovanni Grossi