«Tu sei prezioso». Un cartello colorato a mano, affisso alle travi. Quella frase che mi aveva colpito tanti anni fa campeggia sopra la bara in legno grezzo. Quante volte l’hai ripetuta a ogni persona che hai incontrato? Ora è come se tutti la ripetessero a te: «Tu sei prezioso per noi».
Ora tu sei lì, carissimo Jean. Ed è strano pensarti senza più voce, senza i tuoi sguardi profondi, senza la danza delle tue mani che accompagna le parole. L’eco di quello che ci hai insegnato risuona nella mente.
Poco fa ti abbiamo salutato in una stanza piena di fiori di campo. Sopra la bara, fabbricata per te dall’Arca Le Caillou Blanc in Bretagna, petali bianchi e una croce stilizzata. Ai piedi, dell’acqua con un ramoscello per benedire chi amava la semplicità delle piccole cose.
Nella sala comunitaria Hosanna di Trosly, tutto si svolge secondo un programma studiato con cura dall’Arca. Eppure tutto appare così spontaneo. Gesti che ci hai abituato a compiere si mescolano a simboli della tua storia.
Mi commuovo a vedere Maria, Samuel e altre persone con disabilità che depongono una candela sulla bara: «Tu che hai diffuso la luce, ricevi questa luce». Il grazie di chi è giunto qui da tutto il mondo, nel piccolo dono di luce, coinvolge i membri del tuo foyer Val Fleury, la comunità, l’Arca, Fede e Luce, le Piccole Sorelle di Gesù, i tuoi amici.
Il rito è cattolico: in questa fede sei stato battezzato e ti sei riconosciuto, ma sono presenti rappresentanti di diverse confessioni, nel rispetto del tuo desiderio profondo di unità tra i cristiani. Apertura ecumenica sancita dalla presenza del priore di Taizé, frère Alois.
Il Vangelo lo legge un diacono non vedente. Chi è fragile qui vede riconosciuta la sua bellezza. I ragazzi delle comunità richiamano con un mimo e i doni dell’offertorio gli elementi del tuo cammino: gli uccellini di cui amavi il canto, il colore blu, le arance di cui ti divertivi tirare la buccia a fine pasto, un catino e una brocca per la lavanda dei piedi che hai insegnato a compiere come gesto di perdono reciproco, un’Arca, l’icona dell’amicizia (il Cristo e l’abate Mena). Persino lo scambio della pace è pensato con attenzione: siamo invitati a unire le mani e a rivolgerci ai vicini dicendo Namasté, per dire, come gli indiani, «Dio presente nel mio cuore onora Dio presente nel tuo cuore».
Ogni istante di questa lunga messa è un’esplosione di tenerezza. I canti sono dolcissimi, la musica soave. Alla tristezza di dover salutare un amico, che prima di accogliere la fragilità degli altri ci ha invitato ad accogliere la nostra, si mescola la consapevolezza di ricevere un’eredità importante: «Dobbiamo continuare», ci dicono Annisette, Patrick e la tua grande amica Odile. Con loro hai vissuto all’Arca per anni, per loro hai lavato i piatti ogni giorno. «Ci manchi», ti dicono, «Tu, che hai girato il mondo, non potevi più camminare. Tu, che eri uomo di parola, non potevi più parlare. Tu, che amavi sederti a tavola, non potevi più mangiare. Abbiamo raccolto il tuo ultimo soffio, il tuo respiro. E in quel soffio vogliamo andare avanti».
Anche Marie Hélène Mathieu, cofondatrice di Fede e Luce, oggi 90enne, ci chiede di proseguire con coraggio il cammino e ribadisce che «ora non si è spenta una vita, si è accesa una lampada».
Marie, tua nipote, che vive in Canada, ricorda il tuo bluson blu, i tuoi libri, quel tuo chiedere «come stai?» guardando negli occhi, interessato davvero alla vita dell’altro.
Avevi l’autorevolezza di chi non indica una via, ma la percorre. Sapevi guardare all’essenziale, sapevi stupirti delle piccole cose. Tu, filosofo, uomo di pensiero, vivevi di gesti semplici. Affrontavi ogni relazione con intensità.
«Un profeta del nostro tempo», ti chiamano i mass media. Un profeta rivela un annuncio. Tu, lo hai vissuto quotidianamente. Guardare ai piccoli, scoprire il loro dono, è il tuo insegnamento, per la società e per la Chiesa. A noi dell’Arca e di Fede e Luce hai chiesto, già nel 2013, di diventare a nostra volta fondatori. Stephan Posner, responsabile dell’Arca Internazionale, riassume il senso di questo saluto, che risuona in tv e via internet: «Non amavi essere chiamato “il fondatore”, ma “il primo arrivato”. Non eri il messaggio, ma il messaggero. Non la testimonianza, ma il testimone. Noi, quelli che arrivano dopo, andiamo avanti, con forza nuova».
Il rito è terminato. Ciascuno di noi è invitato a benedire il tuo corpo, che riposerà al cimitero di Trosly. Grazie Jean, ispira da lassù nuovi cammini.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 146, 2019
SOMMARIO
Editoriale
Uomo del Regno di Giulia Galeotti
Focus: Jean Vanier
Jean e il carro di Geneviève di Giulia Galeotti
Il coraggio di cambiare di Giulia Galeotti
Levatrice di cose nuove di Cristina Tersigni
Ci ha fatto vedere ciò che non avevamo ancora visto di Andrea Lonardo
Il tesoro nascosto nel campo di Cristina Tersigni
L’autista più illustre di Serena Sillitto
Il tuo ultimo soffio di Angela Grassi
Dall'archivio
Ritrovare la nostra umanità di Jean Vanier
Spettacoli
La tenerezza di Jean in un film di Anne Dagallier
Libri di Jean Vanier
Le grandi domande della vita
Ho incontrato Gesù, mi ha detto: "ti voglio bene"
La comunità, luogo del perdono e della festa
Larmes de silence
Diari
«Daje Benedetta», «Daje tu, bello!» di Benedetta Mattei
Come avrei voluto vederti più spesso di Giovanni Grossi