Cinema e disabilità: i 3 film di Andrea Guglielmino
Abbiamo chiesto ad alcuni critici cinematografici di elencare 3 film che affrontano il tema della disabilità. Andrea Guglielmino, che scrive, fra gli altri, su Cinecittà News, ha scelto questi.
Andrea Guglielmino
Vice Capo Servizio presso la redazione del portale di notizie cinematografiche CinecittàNews, daily ufficiale di Istituto Luce Cinecittà, e come redattore esperto presso la rivista 8 ½ – Numeri, visioni e prospettive del cinema italiano.
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Indice Cinema e Disabilità
Introduzione
Gli altri siamo noi di A De Simone
3 Film secondo
Federica Aliano
Claudio Cinus
Alessandro De Simone
Adriano Ercolani
Andrea Guglielmino
Gabriele Niola
Emilio Ranzato
Emanuele Rauco
Enrica Riera
Valerio Sammarco
Giorgia Sdei
Boris Sollazzo
Edoardo Zaccagnini
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Daredevil
(id, USA, 2002, durata 103 min.) di Mark Steven Johnson. Con Ben Affleck, Jennifer Garner, Michael Clarke Duncan, Colin Farrell, Jon Favreau.
Prototipo importante del nascente filone dei cinecomic, spesso sottovalutato per la troppa vicinanza alla pietra miliare Spider-Man di Sam Raimi, il Daredevil del 2003 con Ben Affleck è un esempio di cinema di genere ma anche d’autore (laddove per autore si intende colui che ha in mano le redini del progetto, e in questo caso Mark Steven Johnson dirige e produce) che all’azione più sfrenata e sopra le righe, che porta con sé elementi del wuxiapian tanto in voga in quel periodo anche a Hollywood, sottolinea con fermezza la condizione di disabilità del protagonista: un avvocato cieco con un’identità segreta che combatte il crimine grazie all’ipersviluppo di tutti i suoi altri sensi. All’inizio è un violento giustiziere, solo dopo un lungo percorso diventa un eroe in grado di bilanciare gli istinti di vendetta e il senso per la legge. La metafora con la cecità dell’icona della Giustizia, spesso rappresentata bendata, come la fortuna, e con in mano una bilancia – come nella cover dell’album dei Metallica And Justice for All – diventa un’evidente allegoria di come una mancanza possa venire compensata dalla natura o dallo studio, ma anche di come questo compenso possa risultare invadente e pericoloso piuttosto che vantaggioso.
Robocop
(Id. USA, 2014, durata 118 min.) di José Padilja. Con Joel Kinnaman, Gary Oldman, Michael Keaton, Abbie Cornish, Jackie Earle Haley.
Amato da pochi, il remake del classico di Paul Verhoeven non è privo di difetti, ma sono quasi tutti imputabili all’infausto confronto con il modello originale. Il film avrebbe beneficiato probabilmente di un altro titolo, dato che da quel modello si discosta in maniera radicale, soprattutto circa la costruzione del protagonista e del suo rapporto con il mondo. Nella pellicola originale, RoboCop, alias un poliziotto resuscitato tecnologicamente dopo la cruenta uccisione da parte di un gruppo di criminali, perdeva memoria della sua vita precedente, restando aggrappato solo a vari ricordi di sua moglie e di suo figlio. In questo film torna in famiglia, ricorda tutto, ma il suo corpo – di cui, nella scena più evocativa, cruda e significativa, vengono mostrati i resti: la testa, una mano, pochi organi – è come un’immensa protesi di metallo, che gli conferisce sopravvivenza e anche poteri straordinari, ma gli impedisce il contatto umano e, implicitamente, anche il sesso con la propria compagna (Abbie Cornish) dato che l’armatura non prevede protesi specificamente pensate per quello. A conferma della nostra tesi, il film Upgrade del 2018, prodotto da Blumhouse, propone temi simili – meccanico del futuro rimasto in sedia a rotelle dopo un attentato che ha ucciso la sua compagna si potenzia biomeccanicamente, ma perde il controllo – ma senza dichiararsi un remake, e ha ottenuto un buon successo sia di critica che di pubblico.
…e Johnny prese il fucile
(Johnny Got his Gun, USA 1971, durata 111 min.) di Dalton Trumbo, 1971. Con Donald Sutherland, Jason Robards, Timothy Bottoms, Marsha Hunt, Kathy Fields, Don ‘Red’ Barry.
Tornano implicitamente i Metallica dato che la generazione di chi è cresciuto negli anni ’90 ricorda questo film soprattutto attraverso il loro pezzo One, corredato anche di videoclip con immagini direttamente tratte dalla pellicola. Durante l’ultimo giorno di guerra un soldato viene colpito da una granata, ma viene salvato per miracolo dagli Alleati, che lo curano in un ospedale militare. Ormai è ridotto a un tronco umano, “un pezzo di carne che vive”: ha perso gli arti superiori e inferiori, la voce, la vista e l’udito, e vive attaccato a un respiratore, alternando i momenti di veglia a ricordi della sua vita passata con suo padre, della sua fidanzata Kareen, e dei suoi giorni sul campo di battaglia prima di essere colpito. I suoi ricordi si mescolano anche a incubi spaventosi, dove dialoga con Cristo e critica i principi politici e civili che lo hanno portato alla sua condizione. Struggente ed evocativo, il film parla anche di misericordia ed eutanasia, ma la scarsa affluenza di pubblico fece sì che restasse l’unica opera del regista – esordiente a 66 anni, basandosi su un romanzo da lui stesso scritto e vincitore del Book Seller Award – contribuendo però al suo stato di cult. Il titolo è un gioco di parole con la frase “Johnny prendi il fucile”, usata per invitare i giovani a entrare nell’esercito americano tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Il protagonista si chiama invece Joe.
Speciale Cinema e disabilità
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