Contro la regola prima dello scrivere su un giornale, che comanda di cominciare dicendo che cosa è avvenuto, quando, dove, perché e chi c’era; scelgo di descrivere questo straordinario incontro con tre momenti che non dimenticherò mai.
Il primo fu nella grande chiesa sotterranea di S. Pio X. Per chi non la conosce, la sua forma ricorda una barca rovesciata, contiene più di ventimila persone, dentro ci entrano gli autocarri.
Eravamo circa tredicimila lì, per la messa della Resurrezione la sera del Sabato Santo. Venne il momento del Padrenostro e ci prendemmo per mano. Sentii di colpo tutta la bellezza e il significato di quella unica «rete» di tredicimila persone di diverse età e nazionalità e condizione fisica e capacità mentale! Gettai lo sguardo alle due persone delle quali temevo la mano: una era di un ragazzo, francese secondo il nastro e il cartellino che portava sul petto, l’altra di una donna australiana di mezza età.
Cominciammo il Padrenostro, ognuno nella sua lingua ed eravamo di una sessantina di paesi. Come un rombo sommesso e modulato quella voce fatta di tredicimila voci diverse riempiva la chiesa. Era incomprensibile, ma sapevo che cosa diceva perché come gli altri stavo dicendo e pensando: Padre nostro che sei nei cieli….E all’improvviso mi è balenato in mente che quella era la voce del Popolo di Dio: una sola voce, diversa da tutte, che tutte comprendeva e che ognuno capiva. E questa voce di tutti chiamava Dio, padre! Vedevo e sentivo attuata la frase del Vangelo di Giovanni: che siano una cosa sola, perché il mondo creda.
Un altro episodio indimenticabile è stato la festa del pomeriggio di Pasqua. Il motivo della festa era grande, anche se per l’abitudine spesso finiamo per viverlo come una banalità: la resurrezione di Cristo prova e segno della nostra libera zione dalla morte.
Davanti il monte della grotta e della basilica di Lourdes, oltre il fiume, la valle, verde dell’erba e delle foglie di primavera, nel primo pomeriggio cominciò a riempirsi delle comunità che giungevano a gruppi e in file irregolari. Ognuno indossava una sopravveste bianca più o meno ravviata con disegni colorati.
Quando, mesi prima, la centrale francese delle comunità Fede e Luce aveva fatto arrivare le istruzioni per il pellegrinaggio, il dettaglio di farsi e portare un «poncho» bianco (cioè un quadrato di tela con un’apertura al centro per la testa) mi era apparso una formalità insignificante.
Invece, il giungere nella valle verde di tanta gente di tutti i continenti con la «veste» bianca, i cui angoli, resi più mobili essendo diagonali rispetto al corpo (uno avanti, uno dietro e due lungo le braccia) aleggiavano per i movimenti e per il vento di marzo, mi apparve bello e suggestivo.
La valle si andò riempiendo di vesti bianche e dei colori e segni delle centinaia di piccoli stendardi delle comunità. Da due palchi veniva la musica e le voci che guidavano i canti. Lì sopra, una grande tela bianca con il Cristo resuscitato nello stile chiaro delle illustrazioni di catechesi di Fede e Luce, prendeva vita col sole, col vento, con le nuvole che passavano modulando la luce.
I canti e le brevi frasi di gioia e di festa che venivano dal palco lasciarono il posto al crescere spontaneo della festa nei cerchi e nei gruppi e nei cori e nei balli che si formavano e si scioglievano di continuo per la valle. E la festa divenne un semplice e grande e bello stare insieme con gli altri.
Ognuno, per fissare in qualche modo i brevi affettuosi incontri che si facevano di continuo, chiedeva all’altro di tracciare un firma, un segno, una frase: sul «poncho» naturalmente. Spuntarono biro e pennarelli colorati e ne venne una specie di gioco che aveva al fondo il desiderio di ricordare. Io ho conservato il mio poncho pieno di scritte, e credo che tutti han fatto lo stesso, e tutti di tanto in tanto andremo a guardarlo, per ricordare come si stava insieme quel giorno di Pasqua a Lourdes.
Nei giorni della Pasqua 1991, 13.000 persone, minorati mentali, genitori, amici delle novecento comunità di Fede e Luce sono venuti in pellegrinaggio a Lourdes da 59 paesi. Per il numero dei paesi di provenienza e delle persone con un handicap mentale è questo un primato per Lourdes.
Proprio da un pellegrinaggio a Lourdes nel 1971 ebbe origine Fede e Luce, costituita da «comunità di incontro» di una trentina di persone, che hanno al centro i «più piccoli», persone ferite nella mente che nei loro bisogni di affetto e nella loro semplicità, ne stabiliscono stile, valori umani e significati religiosi.
Di fondamento cattolico, le comunità raccolgono persone di diverse chiese cristiane e anche di fedi diverse. E proprio nel segno dell’unità fra persone con capacità diverse, di ceti sociali diversi, di paesi diversi, è stato questo pellegrinaggio del 20mo anniversario di Fede e Luce.
Quel pomeriggio in senso di gioia, di affetto per gli altri fu grandissimo. Fuori di una logica di fede è inspiegabile. In concreto che facevamo? Stavamo in gran folla su un prato, con dei quadrati di lenzuolo sulle spalle, un po’ a cantare, un po’ a far firme, un po’ a far giochi da bambini…Eppure aH’improvviso mi accorsi che stavo vivendo una esperienza intensamente simbolica e rappresentativa del regno di Dio; se, come crediamo, il paradiso è essere insieme, nella felicità e nell’amore di Dio.
Un terzo momento ricco di meraviglia e di significato fu la mattina del lunedì di Pasqua.
Uno dei momenti più «grandi» del pellegrinaggio di Lourdes. Il cardinale Martini, il vescovo anglicano, il vescvo ortodosso, il pastore metodista si sono inginocchiati davanti al giovane «Down» che ha impersonato Gesù risorto, che li ha sollevati e ha dato loro la pace e ora li manda per il mondo ad annunciare la Buona Novella
Era l’ultimo incontro delle comunità in quel pellegrinaggio, infatti era definito: la festa dell’invio. Ancora una volta, stupendamente, era una giornata vibrante di primavera. Sulla piazza della basilica del Santo Rosario, abbracciata dalle rampe ad archi che portano alle due chiese superiori, si ripeteva lo spettacolo dell’animazione e dei canti delle comunità sorvolate dai loro cento vivi stendardi. Al centro dell’attenzione su un basso palco sui gradini della chiesa, insieme con le persone che animavano rincontro, erano il cardinale Martini arcivescovo di Milano, un vescovo della chiesa anglicana, un vescovo della chiesa ortodossa e un pastore della chiesa metodista, donna e madre di un bambino handicappato. Su un grande telo bianco dietro il palco era raffigurato il sepolcro vuoto di Cristo con la pietra rotonda rotolata da parte.
Un giovane mongoloide rappresentò il Cristo resuscitato che dà la buona notizia a chi viene triste al suo sepolcro. Poi i tre vescovi e la donna pastore si inginocchiarono davanti al cristo-ragazzo-mongoloide, ed egli, sollevandoli uno per uno, li abbracciò; e i quattro si abbracciarono a vicenda nello scambio della pace. «Alleluiò resuscitò»., si cantava nella piazza.
Pensavo, guardando quei semplici, gesti, a quel che rappresenta Martini, gesuita grande cardinale della chiesa di Roma, presidente dei vescovi europei; pensavo ai vescovi ortodosso e anglicano, rappresentanti di due chiese nate da scismi dolorosi e a lungo separate da inimicizie aspre rispetto alla chiesa di Roma benché tutte seguaci dello stesso Cristo e credenti nel Vangelo; pensavo al posto della donna nella chiesa cattolica e all’angustia che la questione suscita, guardando quella donna pastore e madre di un figlio minorato. E mi rendevo conto di assistere a un episodio ricchissimo di significato e profondo dell’ecumenismo, molto più autentico e importante di tanti documenti, analisi, discussioni.. Di nuovo vedevo avverarsi il «che siano una cosa sola…»
Sergio Sciascia, nasce a Torino nel 1937 ma si trasferisce a Roma con la famiglia pochi anni dopo. Fin da piccolo manifesta una spiccata passione per lo scrivere e per il capire le cose che lo circondano, e di questi due aspetti farà il mestiere di una vita. Una collega, amica della primissima Fede e Luce romana, mette in contatto Sergio con Mariangela Bertolini e con l’idea di trasformare il ciclostilato “Insieme”che legava le poche comunità italiane di Fede e Luce in qualcosa di più. Era l’autunno del 1981. Nasceva Ombre e Luci e Sergio accettava di esserne il direttore responsabile.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.34, 1991
Sommario
Lavorare con gli altri di Mariangela Bertolini
In fabbrica è una bella fatica di Lucia Cesarini
Meglio stanco che annoiato di Francesco Bertolini
Il più popolare al velodromo di Rino Perozzi
Sergio è un buon giardiniere di Nicole Schulthes
Oggi è dei nostri da O. et L. n.93
È sempre disponibile di Nicole Schulthes
Centro di Formazione Professionale Primavalle: un territorio, molti progetti di Natalia Livi
Rubriche
Dialogo aperto
Vita Fede e Luce - Che settimana! di S. Sciascia
Libri
Educare al servizio di Carlo Maria Martini
Storia di un filo d'erba di M. Bettassa