“Se un bambino deve tenere vivo il suo senso innato di meraviglia, ha bisogno della compagnia di almeno un adulto con cui condividerla, riscoprendo con lui la gioia, l’eccitazione e il mistero del mondo in cui viviamo.” Rachel Carson, biologa 1907-1964, USA
Libby, una bambina sorda in una famiglia udente, non riesce a stabilire una comunicazione efficace fino a quando un’educatrice specializzata, interpellata dalla mamma, non comincia ad interagire con lei utilizzando la lingua dei segni. La perplessità dei genitori di fronte all’utilizzo di questa strana gestualità è però grande e, nonostante i progressi, nel timore di vederla allontanare da loro e dal mondo normale, preferiscono ricondurla ai vecchi metodi educativi. È la storia narrata in The silent child (La bambina silenziosa) che ha vinto l’Oscar nella categoria dei cortometraggi nel febbraio scorso. In copertina c’è uno dei fotogrammi del film: la meraviglia che leggiamo negli occhi della bimba allo schiudersi delle mani dell’educatrice riesce bene ad evocare quale stupore deve provare una persona nel sentirsi finalmente compresa e accolta, partecipe e consapevole in una relazione finalmente e realmente comunicativa.
Poter raccontare sé stessi, le proprie difficoltà e le proprie gioie è tra i bisogni primari dell’uomo e il cortometraggio, intenso e coinvolgente nelle interpretazioni delle attrici (la bambina è davvero sorda e l’attrice nel ruolo dell’educatrice ha imparato la lingua dei segni quando suo papà è divenuto sordo in seguito ad una chemioterapia), mette in evidenza quanto la sordità abbia tra le sue maggiori problematiche quella di essere una disabilità invisibile e di non veder facilmente riconosciuta questa necessità comunicativa, lasciando la persona sorda con minori possibilità di reale inclusione e di crescita personale.
Probabilmente sono tante le famiglie che si sono trovate di fronte al dilemma di scegliere la modalità comunicativa migliore per i loro figli sordi: non intendiamo qui semplificare le difficoltà e le considerazioni che vanno fatte per ciascun caso. Alcune testimonianze ed esperienze ci aiutano però a compiere piccoli passi in questo mondo invisibile. Per sapere qualcosa in più sulla sordità e sulla lingua dei segni il cui utilizzo, come per quella bambina, ha dato capacità di esprimere i propri sentimenti. Per avvicinare esperienze come quella che vede una parrocchia romana, vicina ad un istituto specializzato per sordi, realizzare percorsi di catechismo inclusivi grazie alla preziosa presenza di interpreti LIS volontari (p. 12). Per imparare che la lingua dei segni, proprio come una lingua straniera, aiuta e sostiene la plasticità del cervello: grazie a questa sua caratteristica, da diverso tempo viene utilizzata anche con chi, pur udente, ha disabilità che compromettono la capacità di comunicazione e condivisione (p. 14).
“Ho preso tutti i segni per meraviglie e ogni meraviglia per un segno” (Luke Davies, regista e scrittore, Australia, 1962)
Ma quella foto ci porta anche oltre il mondo della sordità: ci ricorda quanto è necessario l’incontro con l’altro nel profondo rispetto del mistero di ciascuno. Quanto rimane vitale imparare a cogliere le meraviglie, anche le piccole del quotidiano, che diventano belle soprattutto perché siamo insieme a contemplarle! Riconoscere la gioia che ci è data nei volti e nelle opportunità che ci circondano, come in quello di Eric, trisomico, e delle cose folli che riesce a far fare ai suoi genitori (p. 6); oppure nei duetti solidali della squadra giallorossa (p. 21); o al recente convegno sulla Catechesi dell’Iniziazione Cristiana Inclusiva ad Assisi (p. 18), nel quale emerge il forte richiamo ad una comunità cristiana che viva, attraverso ogni suo membro, l’entusiasmo della fede per generare ogni suo figlio alla Buona Notizia. Riconoscere che tanta di questa vera gioia è misteriosamente legata al dolore, come di fronte al sepolcro vuoto della mattina di Pasqua. Il nostro “dentro”, come lo descrive Nora (p. 4), possa svelarsi alla Buona Notizia di Gesù grazie ad una comunità realmente fraterna ed esserne rinnovato pienamente nella luce della gioia e della meraviglia. Buona estate!
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.142, 2018